Dal 2009 vive in esilio in Francia. Continuando a lottare contro la deriva oscurantista e anti democratica della Turchia. Uguaglianza, libertà, laicità sono parole che tornano in tutti i suoi scritti. Pinar Selek è sociologa e autrice di opere forti e poetiche come La maschera della verità, un memoir in cui rievoca vicende autobiografiche che si intrecciano fortemente con la storia di Istanbul (dove è nata nel 1971) e della Turchia. Fin dalla reclusione di suo padre durata cinque anni: «Colpo di Stato del 12 settembre 1980. Mio padre è stato appena arrestato, insieme a centinaia di migliaia di oppositori. Il giuramento di fedeltà che ci fanno recitare due volte a settimana a scuola mi fa l’effetto di altrettanti colpi di manganello». Una situazione che si sarebbe ripetuta con una drammatica escalation. Accusata di fiancheggiamento del Pkk, Pinar ha visto con i propri occhi l’inferno delle carceri turche dove è stata rinchiusa e torturata. In quegli anni durissimi la scrittrice e giornalista Asli Erdogan l’aveva sostenuta, dandole voce in articoli e interviste. Il “caso” ha voluto che poi le parti si siano rovesciate. Ed è stata Pinar a cercare di mobilitare l’opinione pubblica a sostegno dell’amica e collega che ha rischiato l’ergastolo solo per aver collaborato a un giornale filo curdo. La libertà di espressione esiste ancora in Turchia? No, non esiste più. Molti scrittori e artisti sono in prigione, in esilio o sotto minaccia. La Turchia è bloccata in un tunnel di orrore e non sappiamo come uscirne. La solidarietà internazionale è molto importante, è ossigeno che ci fa respirare. Il suo arresto e quello di suo padre, rievocati ne La maschera della verità, sono accaduti in momenti diversi e drammatici. Oggi sono giorni altrettanto bui? Fin dalla mia infanzia non ho mai visto il sole splendere sulla politica turca. Perché fin dagli inizi, lo Stato-nazione turco, si è strutturato come sistema politico nazionalista, militarista e repressivo. È nato sulle stragi. Ha consolidato il proprio potere attraverso un linguaggio e una narrazione mitologico-religiosa. Oggi la Turchia è “in guerra”, ogni giorno vengono promulgate nuove misure repressive. L’autoritarismo strisciante di questo regime islamico-conservatore attua politiche di re-islamizzazione della società e di deregulation economica, giuridica e sociale. Ma fin da quando ero bambina sono stata testimone di azioni di resistenza. Ho visto come le persone sono riuscite ad “adattarsi” per scovare sempre nuove strategie e continuare la lotta. In Turchia ci sono molte persone amanti della libertà. Lei ha sempre cercato di dare voce alle minoranze, attraverso libri e inchieste, pagando prezzi altissimi. La Turchia è un Paese multiculturale, ma rinnega la parte migliore della propria storia? Il problema principale della Turchia è il nazionalismo. La nazione è nata sul genocidio degli armeni del 1915 e sulla pulizia etnica diffusa che ha colpito soprattutto i curdi, costretti all’assimilazione attraverso strategie educative, religiose e politiche. La costruzione della nazione turca si basa su un disegno etnico e confessionale imposto a un territorio in crisi e svuotato di gran parte della popolazione. Lo Stato-nazione ha un carattere monolitico che non ammette altre forme e colori. Quando scopriranno che questa gigantesca operazione di omogeneizzazione e l’assimilazione non ha funzionato non so come potranno reagire gli apparati statali. Di certo, sarà una visione destabilizzante. Lo racconterà in un nuovo libro? In realtà sto scrivendo due libri in una sola volta. Uno, in particolare, sulla resistenza in Turchia. Cerco di mostrare come nell’ambito di mobilitazioni sociali e nuovi movimenti si siano innescati nuovi processi, possibili, nonostante la repressione omicida. Questo libro è come un buon amico. Poi, la mia nuova passione è un romanzo, mi fa volare ogni volta che mi ci posso dedicare. Il mio unico rammarico è non avere abbastanza tempo per vivere questo amore.

Dal 2009 vive in esilio in Francia. Continuando a lottare contro la deriva oscurantista e anti democratica della Turchia. Uguaglianza, libertà, laicità sono parole che tornano in tutti i suoi scritti. Pinar Selek è sociologa e autrice di opere forti e poetiche come La maschera della verità, un memoir in cui rievoca vicende autobiografiche che si intrecciano fortemente con la storia di Istanbul (dove è nata nel 1971) e della Turchia. Fin dalla reclusione di suo padre durata cinque anni: «Colpo di Stato del 12 settembre 1980. Mio padre è stato appena arrestato, insieme a centinaia di migliaia di oppositori. Il giuramento di fedeltà che ci fanno recitare due volte a settimana a scuola mi fa l’effetto di altrettanti colpi di manganello». Una situazione che si sarebbe ripetuta con una drammatica escalation. Accusata di fiancheggiamento del Pkk, Pinar ha visto con i propri occhi l’inferno delle carceri turche dove è stata rinchiusa e torturata. In quegli anni durissimi la scrittrice e giornalista Asli Erdogan l’aveva sostenuta, dandole voce in articoli e interviste. Il “caso” ha voluto che poi le parti si siano rovesciate. Ed è stata Pinar a cercare di mobilitare l’opinione pubblica a sostegno dell’amica e collega che ha rischiato l’ergastolo solo per aver collaborato a un giornale filo curdo.

La libertà di espressione esiste ancora in Turchia?
No, non esiste più. Molti scrittori e artisti sono in prigione, in esilio o sotto minaccia. La Turchia è bloccata in un tunnel di orrore e non sappiamo come uscirne. La solidarietà internazionale è molto importante, è ossigeno che ci fa respirare.

Il suo arresto e quello di suo padre, rievocati ne La maschera della verità, sono accaduti in momenti diversi e drammatici. Oggi sono giorni altrettanto bui?
Fin dalla mia infanzia non ho mai visto il sole splendere sulla politica turca. Perché fin dagli inizi, lo Stato-nazione turco, si è strutturato come sistema politico nazionalista, militarista e repressivo. È nato sulle stragi. Ha consolidato il proprio potere attraverso un linguaggio e una narrazione mitologico-religiosa. Oggi la Turchia è “in guerra”, ogni giorno vengono promulgate nuove misure repressive. L’autoritarismo strisciante di questo regime islamico-conservatore attua politiche di re-islamizzazione della società e di deregulation economica, giuridica e sociale. Ma fin da quando ero bambina sono stata testimone di azioni di resistenza. Ho visto come le persone sono riuscite ad “adattarsi” per scovare sempre nuove strategie e continuare la lotta. In Turchia ci sono molte persone amanti della libertà.

Lei ha sempre cercato di dare voce alle minoranze, attraverso libri e inchieste, pagando prezzi altissimi. La Turchia è un Paese multiculturale, ma rinnega la parte migliore della propria storia?
Il problema principale della Turchia è il nazionalismo. La nazione è nata sul genocidio degli armeni del 1915 e sulla pulizia etnica diffusa che ha colpito soprattutto i curdi, costretti all’assimilazione attraverso strategie educative, religiose e politiche. La costruzione della nazione turca si basa su un disegno etnico e confessionale imposto a un territorio in crisi e svuotato di gran parte della popolazione. Lo Stato-nazione ha un carattere monolitico che non ammette altre forme e colori. Quando scopriranno che questa gigantesca operazione di omogeneizzazione e l’assimilazione non ha funzionato non so come potranno reagire gli apparati statali. Di certo, sarà una visione destabilizzante.

Lo racconterà in un nuovo libro?
In realtà sto scrivendo due libri in una sola volta. Uno, in particolare, sulla resistenza in Turchia. Cerco di mostrare come nell’ambito di mobilitazioni sociali e nuovi movimenti si siano innescati nuovi processi, possibili, nonostante la repressione omicida. Questo libro è come un buon amico. Poi, la mia nuova passione è un romanzo, mi fa volare ogni volta che mi ci posso dedicare. Il mio unico rammarico è non avere abbastanza tempo per vivere questo amore.