A colloquio con Pepe Mujica. Ecco come lo storico leader del Frente amplio si prepara alle politiche del 27 ottobre in Uruguay: «La militanza politica per migliorare le condizioni sociali è la mia ragione di vita. A chi mi chiede se ho paura di perdere, dico che l’unica sconfitta è quando ci si arrende»

Il 27 ottobre, in Uruguay, oltre alle politiche si svolgerà il primo turno delle presidenziali. Riuscirà uno degli ultimi Paesi latinoamericani governati dalla sinistra, il Frente amplio di Pepe Mujica, a non capitolare davanti alle destre sovraniste e neoliberiste? Nello SPECIALE URUGUAY in edicola su Left dall’11 al 17 ottobre, ne parliamo con l’ex presidente, la sua compagna Lucia Topolansky, vice presidente in carica, e alcune delle loro giovani leve: l’ambasciatore Gustavo Pacheco Fariña (51 anni), direttore generale della Cooperazione internazionale del ministero degli Esteri, che nel Frente amplio appartiene al Partito socialista; il deputato Alejandro “Pacha” Sánchez (39 anni), anche lui del Frente amplio, ma dell’“area” di Mujica, il Mpp (Movimento di partecipazione popolare); e il deputato Gerardo “Tano” Nuñez Fallabrino (34 anni), del Partito comunista dell’Uruguay, un altro partito che sta nel Frente amplio.

Pepe, tu sei ancora il punto di riferimento della sinistra in Uruguay, come ne vedi il futuro e cosa pensi dei giovani che, anche alla luce delle primarie del Frente amplio, si profilano come nuovi leader?
Io sono della idea che qualsiasi vittoria, qualsiasi trionfo non sia mai definitivo, perché non credo neanche alle sconfitte definitive. Negli uomini c’è l’idea della lotta permanente per salire scalino dopo scalino, con l’obiettivo di raggiungere lo sviluppo della civiltà. Questo non cade dal cielo, non è una casualità, ma scaturisce dalla naturale esigenza di realizzare la propria identità, di migliorare le condizioni di vita. Questo è essere di sinistra, dunque ciò che chiamiamo sinistra è l’espressione di una “vecchia” tendenza dell’uomo. Mi sento parente di Epamidonda, dei fratelli Gracchi, sono figlio di quella eterna lotta che esiste nella storia dell’uomo per la solidarietà, per un po’ di umanità, per migliorare, in contrapposizione alla visione conservatrice e reazionaria. Perciò confido nelle nuove generazioni, perché gli unici sconfitti sono quelli che smettono di lottare.

Dunque, sei ottimista per il tuo partito?
Nessuno è perfetto. L’importante è apprendere dagli errori. Pensiamo alla Rivoluzione francese, ai razionalisti, a Robespierre, che ragionando in un mondo religioso, pieno di pregiudizi, elevarono il dio ragione e non capirono che l’uomo è sì dotato della razionalità ma è anche passione, emozione, e oltre ai naturali bisogni della vita ha delle sue esigenze personali da realizzare. Insomma è molto più complicato di come lo vedevano. Questo per dire che le nuove generazioni, i nostri “eredi”, hanno a disposizione un arsenale di conoscenza che noi non potevamo avere. Devono saperlo mettere a frutto.

Al contrario delle nuove leve, la tua generazione ha vissuto sulla sua pelle l’idea di lotta.

 È vero. Ti faccio qualche esempio. I lavoratori che lottarono per le otto ore di lavoro, otto ore di riposo e otto ore per vivere, sognavano un mondo utopistico. La storia umana è un cimitero di utopie, ma questa alla fine si è realizzata. Lottando. Quando ero ragazzo, la mia generazione riusciva con molte difficoltà ad avere i soldi per prendere l’autobus e andare al liceo. Abbiamo lottato per il diritto al biglietto gratuito per gli studenti. Oggi sembra una sciocchezza, ma…

L’intervista di Gabriela Pereyra a Pepe Mujica e lo “Speciale Uruguay” proseguono su Left in edicola dall’11 ottobre

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