Salvini, Meloni e Berlusconi tornano insieme, il 19 ottobre, come una band sciolta anni fa e invecchiata male. Provano a far numero per racimolare qualche voto in più. E il Capitano, relegato nei social, tenta di far dimenticare le sue responsabilità nelle dissennate scelte economiche dei gialloverdi

Alla fine la piazza è solo un Papeete senza mojito. E se Salvini scende in piazza, con al seguito Meloni e Berlusconi a fargli da maggiordomo, è solo perché il Capitano (ormai piuttosto dinoccolato) sa benissimo che la sua propaganda ha bisogno di essere eterea per funzionare, deve frequentare gli spazi aperti dove non contano i fatti ma dove si trasformano in fatti le opinioni, le piccole propagande ricoperte di bava, le promesse che poi non interessa a nessuno se saranno mantenute, le foto prese dalle angolazioni migliori, i soliloqui rivenduti come ragionamenti e i dibattiti relegati solo nei commenti.

Salvini e il suo fedele Morisi hanno spremuto tutte le loro armi per cercare di convincerci che il leader leghista sia stato fatto fuori da chissà quali poteri occulti o chissà da quali giochetti di palazzo ma alla fine anche i più ingenui, quelli che mettono sullo stesso piano un tweet con un’analisi politica, hanno capito benissimo che l’estate salvinana è stata un viaggio di Icaro che si è sciolto le ali di cera per essersi troppo avvicinato al sole.

I greci la chiamano hybris, ciò che punisce l’uomo quando tenta troppo di avvicinarsi agli dei: Salvini ha creduto davvero che si potesse fare politica senza farla per davvero e così si è sbriciolato di fronte all’inconsistenza della sua poca credibilità internazionale, della sua incapacità di confronto con tutti i corpi intermedi (sindacati, rappresentanti di categoria e gli stessi funzionari dello stesso ministero di cui è stato titolare) e si è ritrovato…

L’articolo di Giulio Cavalli prosegue su Left in edicola dal 18 ottobre 

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