Bentornati al Sud, così titola l’editoriale di Giovanni Russo Spena su Left del 13 settembre 2019.
Bentornati al Sud, noi siamo qui, tra i papaveri rossi, come api che resistano all’ estinzione, tra il verde della nostra Terra, sempre più calpestata e il blu del Mediterraneo. «Mare nostro … tu sei più giusto della terraferma pure quando sollevi onde a muraglia poi le abbassi a tappeto. Custodisci le vite, le visite cadute come foglie sul viale, fai da autunno per loro, da carezza, abbraccio, bacio in fronte, madre, padre prima di partire» (da Mare Nostro di E. De Luca). Noi siamo qui nel tentativo di liberare coscienze da un sud dimenticato, qui per il nostro Sud, rinnovato nella sua potenzialità, «ma anche – scrive Russo Spena – fecondo ed innovativo laboratorio di temi produttivi, ecologici, antropologici (penso alle grandi migrazioni). Le lotte per i lavori di qualità, per il reddito possono rilanciare il sindacalismo territoriale delle vecchie “Camere del lavoro” oggi appannate dall’assenza di vertenzialità. Le esperienze di cooperazione Nord/Sud ma soprattutto Sud/Sud possono alimentare nuove ragioni di scambio, nuove aree economiche integrate». Da qui nasce l’idea del Laboratorio la riscossa del Sud in collaborazione con la rivista Left e Transform Italia, perché per noi il Mezzogiorno d’Italia è il paradigma della riorganizzazione degli spazi di vita.
Sud: colonia depredata ed abbandonata. Terra di conquista, di sfruttamento ed abbandono, nasce come colonia dal 1861 condizione che ne ha determinato nel corso dei secoli, nel senso comune, la condizione di una zavorra per lo sviluppo del Paese, condizionandone da un lato un approccio antropologico della popolazione nella gestione del territorio e del quotidiano ma dall’altro la messa in discussione di uno stato di accettazione che ha dato vita a focolai di lotta e di conquista. I nostri territori sono stati luoghi di rivolte contadine, dei movimenti di occupazione delle terre, di movimenti per il salario, per il diritto al lavoro e alla casa, di movimenti femministi, delle conflittualità urbane lungo tutto il 900 sino ad oggi, un oggi inquinato, dal richiamo di una pericolosa ideologia, da quel: si stava meglio prima dell’unità, con frequenti adulterazioni storiche capeggiate da formazioni neoborboniche ed altri movimenti sudisti, dentro un sistema di conservazione e non di opposizione politica e sociale, oggi più che mai pericoloso, perché si colloca dentro il dibattito sull’autonomia differenziata animando la contrapposizione tra secessionisti ed autonomisti, facendo così sponda ai desiderata leghisti.
Ad oggi “la questione meridionale” esiste, causa è la rivoluzione mancata, quella rivoluzione passiva, che è stato il risorgimento italiano, un nodo storico irrisolto in questo sud dove alberga la cultura del potere costituito.
Nell’idea di rivoluzione mancata, un altro nodo storico irrisolto vogliamo metter in luce: la mancata unificazione storica tra la classe operaia del nord e le lotte del Mezzogiorno.
Le lotte contadine a partire dagli anni 48/50 contribuirono alla formazione e difesa della democrazia, nel Paese, creando una coscienza di classe, ma la mancata connessione con le lotte operaie del nord ha determinato un arretramento storico sul terreno strategico di un nuovo sviluppo del Paese e la riforma dello Stato, venendo meno, così, la prospettiva del cambiamento.
Il venir meno della tensione trasformatrice del Sud ne ha determinato negli anni una crisi di democrazia causata anche dalle deboli protezioni sociali soccombendo ai richiami clientelari speculativi di alcune forze politiche, come ad es. la democrazia cristiana, che ha organizzato, lungo tutto il 900 uno sviluppo assistito, in modo, spesso parassitario, determinando una vera e propria caduta di civiltà. Da qui un “sud colonia”, nell’intendo di determinare l’idea di dipendenza, un sud depredato dalla propria vocazione, derubato del proprio popolo “forza lavoro” utile per lo sviluppo altrove, della propria terra ed infine abbandonato come rifiuto.
Nella lunga storia del riscatto del Sud da sempre è annidata la corruzione nella gestione della cosa pubblica , l’antistato come risposta al disagio, la carenza di classe dirigente capace di investire sullo sviluppo del territorio, e non nel clientelismo e nel familismo l’elemento caratterizzante della gestione delle relazioni e dei territori, con sempre più presente il ricatto sociale, che ne ha identificato una caduta di civiltà politica sociale ed economica e incapace di definirne la condizione di volano per lo sviluppo culturale, sociale del Mezzogiorno e del Mediterraneo.
Oggi, gli effetti, della crudele gestione e valorizzazione di un territorio, vengono al pettine e con la parola biocidio, nel Mezzogiorno d’Italia si sta scrivendo una nuova pagina della questione meridionale, un nuovo alfabeto di lotta e partecipazione, una lotta biopolitica, ove temi come salvaguardia del territorio, inquinamento industriale, riconversione ecologica, valorizzazione delle risorse agricole declinano in modo nuovo il tema della salute, della difesa dell’ambiente, del lavoro/non lavoro, delle migrazioni, con una ancora più radicale critica al sistema neo liberista. Questo conflitto tra capitale e vita ha generato nuove forme di Resistenza che, purtroppo, come unica risposta hanno trovato un regime securitario, ove un’informazione e una comunicazione non oggettive sono complici e specchio illiberale del soffocamento della libertà, come riconosciuto dal Tribunale dei Popoli.
Siamo il Sud d’ Europa , dell’ “Europa dei Popoli e della Giustizia sociale” un’ altra Europa che rifiuta il liberismo disumano, fondato sui vincoli economici e sugli strangolamenti delle popolazioni locali e dell’area euromediterranea, un’altra Europa che fa della centralità Mediterranea, dell’ambiente, dell’accoglienza e del diritto dei migranti, della cooperazione la propria vocazione, elementi centrali di proposta politica, attraverso un’assemblea parlamentare euroafricana, il riconoscimento della cittadinanza euromediterranea, la costruzione sezione mediterranea della Be.
Alla luce di questa breve sintesi oggi come ieri chi non vuol soccombere e far soccombere il Sud sotto il macigno di un potere costituito ha un compito, quello di riprendere le file di una discussione di cambiamento e di riscatto, un’ impegno di donne ed uomini, protagoniste e protagonisti di lotte in difesa della Terra e dei diritti per il lavoro, impegnati sull’antimafia sociale, accademici, intellettuali una sinergia di sapere e di proposta per il cambiamento, che affronti i nodi da sciogliere con una visione gramsciana.
Un laboratorio di pensiero capace di agire nelle contraddizioni delle politiche liberiste, che oggi ci consegnano una drammatica verità, dal Rapporto Svimez 2019, dove non a caso si parla di “eutanasia del Mezzogiorno, in cui si assiste ad un calo degli investimenti pubblici, del credito e del Pil ed il drammatico fenomeno di emigrazione, una vera emergenza nazionale, in altre parole siamo di fronte allo spopolamento e alla recessione del Mezzogiorno.
Da una disamina degli ultimi 15 anni quasi due milioni di meridionali si sono spostati nelle regioni del Centro Nord Italia. Gli “emigrati” dal Sud tra il 2002 e il 2017 sono stati oltre 2 milioni, di cui 132.187 nel solo 2017, la metà sono giovani ed il 33% giovani laureati.
In sostanza, sono di più i meridionali che emigrano dal Sud per lavoro o studio al Centro Nord e all’estero che gli stranieri migranti che scelgono di vivere nelle regioni meridionali.
Il saldo migratorio interno, al netto dei rientri, è negativo per 852 mila unità. Solo 2017 – si legge nel Rapporto Svimez – sono andati via «132 mila meridionali, con un saldo negativo di circa 70mila unità».
L’emergenza emigrazione del Sud determina una perdita di popolazione, soprattutto giovanile, e qualificata, solo parzialmente compensata da flussi di migranti, modesti nel numero e caratterizzati da basse competenze. Questa dinamica determina una prospettiva demografica assai preoccupante di spopolamento, che riguarda in particolare i piccoli centri sotto i 5mila abitanti.
E se l’Italia non cresce, il Sud arranca sempre di più, al punto che il divario con il resto del paese aumenta progressivamente.
«Nel quadro di un progressivo del rallentamento dell’economia italiana, si è riaperta, dunque, la frattura territoriale che arriverà nel prossimo anno a segnare un andamento opposto tra le aree, facendo ripiombare il Sud nella recessione da cui troppo lentamente era uscito». Nel rapporto Svimez 2019 in base alle previsioni, l’Italia farà registrare una sostanziale stagnazione, con incremento lievissimo del Pil del +0,1%. con un Pil del Centro-Nord di appena lo +0,3%, mentre nel Mezzogiorno l’andamento previsto è negativo e si sostanzia con una dinamica recessiva: -0,3% .
Come è noto il motore dello sviluppo economico del Mezzogiorno è stato ed è la spesa pubblica, non perché sia maggiore rispetto al Centro-Nord (come spesa pro-capite), ma in quanto sono più deboli gli altri settori, industria e servizi non tradizionali, rispetto al resto del paese. Ed è scandaloso pensare che la parte più ricca del paese che gode già di una maggiore spesa pubblica punti oggi ad aumentarla ancora attraverso la famigerata “autonomia finanziaria differenziata”.
Relativamente alla dinamica del lavoro il rapporto Svimez mostra un Gap occupazionale del Sud rispetto al Centro-Nord nel 2018 «pari a 2 milioni 918 mila persone, al netto delle forze armate» sottolineando che come la dinamica dell’occupazione al Sud presenti dalla metà del 2018 «una marcata inversione di tendenza, con una divaricazione negli andamenti tra Mezzogiorno e Centro-Nord». Gli occupati al Sud negli ultimi due trimestri del 2018 e nel primo del 2019 “sono calati di 107 mila unità (-1,7%)”, nel Centro-Nord, invece, nello stesso periodo, «sono cresciuti di 48 mila unità (+0,3%)», chiaro è che l’indebolimento delle politiche pubbliche nel Sud, poi, incide significativamente sulla qualità dei servizi erogati ai cittadini. Preoccupanti anche i dati sulla disoccupazione giovanile al record europeo in Calabria (58,7%), nonché il record europeo di Neet ( tre milioni e mezzo di giovani che non studiano più e non lavorano), il livello di povertà assoluta del 10% della popolazione, problematiche ambientali e sanitarie, evasione scolastica vicina al 20%, ben 6 punti sopra la media nazionale, il doppio di quella europea, un sistema universitario messo alle strette per effetto di criteri “folli” nella ripartizione dei fondi che premiano le Università del nord, i comuni prossimi al default grazie alle politiche del pareggio di bilancio con conseguenti politiche socio-sanitarie quasi azzerate e trasporti locali ai minimi storici, un’aspettativa di vita più bassa di 5 anni rispetto alla media nazionale, natalità in forte calo causa emigrazione giovanile e si potrebbe ancora continuare a lungo.
Il divario nei servizi dovuto soprattutto ad una minore quantità e qualità delle infrastrutture sociali e riguarda diritti fondamentali di cittadinanza: in termini di adeguati standard di istruzione, di idoneità di servizi sanitari e di cura. Nel comparto sanitario vi è un divario già nell’offerta di posti letto ospedalieri per abitante: 28,2 posti letto di degenza ordinaria ogni 10 mila abitanti al Sud, contro 33,7 al Centro-Nord. Tale divario diviene macroscopicamente più ampio nel settore socio-assistenziale, nel quale il ritardo delle regioni meridionali riguarda soprattutto i servizi per gli anziani, a partire dalla residenza domiciliare.
Infatti, per ogni 10mila utenti anziani con più di 65 anni, 88 usufruiscono di assistenza domiciliare integrata con servizi sanitari al Nord, 42 al Centro, appena 18 nel Mezzogiorno.
Ancor più drammatici sono i dati che riguardano l’edilizia. A fronte di una media oscillante attorno al 50% dei plessi scolastici al Nord che hanno il certificato di agibilità o di abitabilità, al Sud sono appena il 28,4%. Inoltre, mentre nelle scuole primaria del Centro-Nord il tempo pieno per gli alunni è una costante nel 48,1% dei casi, al Sud si precipita al 15,9%
Insomma, il rapporto Svimez oggi ci pone di fronte alla «grande crisi del Sud». Occorre sapere che se ne potrà uscire non con piccoli aggiustamenti, ma solamente con un surplus di radicalità, a partire dal NO alla autonomia differenziata, che comporterà ulteriore povertà culturale economica e sociale. Questo Sud così difficile e lacerato può rappresentare, tuttavia, un terreno di sperimentazione politica straordinaria con la messa in discussione delle caratteristiche di fondo del capitalismo contemporaneo. Non si tratta più di ragionare dello schema, ormai anacronistico, del binomio arretratezza/sviluppo. Non c’è un deficit di modernità al Sud; esso è segnato, invece, dalla modernità nel suo versante della svalorizzazione sociale della ricchezza, la qual cosa è appunto l’altra faccia della valorizzazione produttiva.
Il Mezzogiorno d’Italia necessità di un progetto globale di sviluppo che lo avvicini sempre più agli standard dei servizi e delle infrastrutture presenti in altre parti del Paese al fine di rendere meno gravoso lo sforzo che cittadini ed imprese pure profondono per non restare relegati e marginali nel contesto italiano. Un Piano di Sviluppo che punti a far crescere il lavoro in modo ecosostenibile e che parta da una vera e propria carta dei diritti del sud che incarni la vocazione di una intera area vasta, che veda nella riconversione e nell’innovazione ambientale, nell’agricoltura e nel turismo settori di crescita ed occupazione.
Il laboratorio “La riscossa del Sud” uole esser luogo di approfondimenti, di analisi e rinnovamento interpretativo della questione meridionale, di pratiche di conflitto, di sperimentazione per la valorizzazione delle risorse umane e materiali, capace di stabilire un nesso tra modernità e trasformazione, perché il sud sia sempre più risorsa del Paese e non marginalizzato a solo mercato di sfruttamento e consumo.
Il laboratorio permanente “La riscossa del Sud” è uno spazio di confronto che incontra i territori, programmando una serie di appuntamenti dalla Campania alla Sicilia, attraversando tutte le regioni del Sud, a partire da novembre di concerto con quanti possono ospitare la nostra iniziativa.