La Bolivia è nel caos. Le prime notizie ufficiali provenienti dal Gabinetto elettorale, riguardanti il voto per le presidenziali che si sono tenute domenica 20 ottobre, davano il Movimento al socialismo (Mas) di Evo Morales al 43%, avanti per meno di 10 punti sul partito Comunidad ciudadana (Cc) del centrista Carlos Mesa così decretando la necessità di una seconda tornata elettorale a dicembre. Tuttavia il Tribunal supremo electoral (Tse) nella giornata di lunedì ha operato un riconteggio delle schede fino ad allora scrutinate (circa l’84%), sospendendo per 24 ore le comunicazioni relative ai consueti aggiornamenti sullo stato dello spoglio. Nella nottata l’istituto ha infine inoltrato dati parziali differenti rispetto alle proiezioni del giorno prima, dando Evo Morales a poco più del 47% con un vantaggio di dieci punti sullo sfidante Mesa, scongiurando così l’eventualità di un ballottaggio e lanciando il presidente uscente sulla strada del suo quarto mandato. Carlos Mesa, presidente boliviano nel biennio 2003-2005 e incaricato di governo nelle recenti trattative internazionali per la “restituzione” dell’accesso al mare al Cile, non ha esitato a definire quanto accaduto nelle ultime ore una «vergognosa frode».
Alla notizia, in tutto il Paese le forze di opposizione al partito di maggioranza sono insorte in scontri violenti che hanno portato alla distruzione di diversi palazzi di governo e al ferimento di numerosi manifestanti. A La Paz, capitale amministrativa, il picco degli scontri si è registrato davanti all’hotel Radisson Plaza, luogo adibito a sede per lo scrutinio generale dei voti da parte del Tribunale elettorale. Negli scontri è stato duramente ferito anche il noto rettore della Umsa, una delle più importanti università locali, Aldo Albarracìn, il cui grido di denuncia contro i presunti brogli del presidente uscente Morales, tra rivoli di sangue ed un volto tumefatto, sta facendo il giro della rete.
Nelle ultime ore la stessa Organización de los Estados americanos (Oea), ente preposto al controllo della imparzialità e conformità ai parametri internazionali delle votazioni boliviane, ha espresso, per mezzo di un documento ufficiale inoltrato al gabinetto di governo, forti perplessità in merito alla trasparenza e legalità del procedimento di scrutinio delle schede elettorali eseguito dal Tse. Nel merito l’Oea ha contestato il malfunzionamento del procedimento di conteggio elettronico che per mezzo del sistema di Trasmissione dei risultati elettorali preliminari (Trep) avrebbe dovuto tenere aggiornata la popolazione sull’andamento dello spoglio. Il sistema, la cui regolarità di funzionamento era peraltro certificata da organi di vigilanza dell’Unione Europea, ha smesso di fornire dati per l’intera giornata di lunedì, tornando operante nella nottata con un risultato diverso rispetto alle ultime proiezioni, a favore del presidente uscente Morales.
Il Tse ha giustificato la sospensione degli aggiornamenti per mezzo del Trep con l’intenzione di evitare una sovrapposizione delle proiezioni provvisorie alle informazioni riguardanti i dati ufficiali che in quelle ore andavano delineandosi. La motivazione non è parsa coerente alla maggioranza dell’opposizione, che ha visto in questo vuoto il momento nevralgico in cui si sarebbero consumati brogli e frodi a favore del partito di governo. L’accusa è stata pienamente rigettata dagli esponenti del Mas, i quali hanno motivato l’inaspettata impennata a loro favore con il ritardo nello spoglio delle schede provenienti dall’area rurale, nel frattempo scrutinate, notoriamente schierata a favore del partito di sinistra.
Lo stesso presidente Morales, nella giornata di mercoledì 23 ottobre, ha convocato una conferenza stampa a reti unificate in cui ha accusato le migliaia di persone scese in piazza per protestare contro i presunti brogli di essere protagoniste di un «golpe architettato dalla destra sostenuta da forze straniere». Per queste ragioni il rappresentante del Movimento al Socialismo, autoproclamatosi vincitore nella prima tornata elettorale, ha dichiarato: «Voglio dire al popolo boliviano: stato d’emergenza e mobilitazione pacifica costituzionale per difendere la democrazia», auspicando appunto una risoluzione pacifica dei conflitti in atto.
Evo Morales Ayma, ex sindacalista del movimento cocalero, è alla guida della Bolivia da più di quattordici anni. Nel 2016 ha ignorato l’esito del referendum che ne chiedeva le dimissioni, e successivamente la Corte costituzionale ha emesso una sentenza che nella sostanza ne ammetteva la candidatura al quarto mandato nonostante il divieto costituzionale. Di estrazione socialista, ha condotto il Paese verso una nazionalizzazione della filiera produttiva, aprendo il mercato agli investimenti provenienti in primis da Russia e Cina. La sua riconferma rappresenterebbe una svolta chiave nel quadro politico del continente, già reso instabile dalle recenti proteste nate in Ecuador e Cile, che vanno ad aggiungersi alla tragica crisi umanitaria in atto in Venezuela. Nell’ultimo decennio infatti i colori politici della maggior parte degli Stati sudamericani sono cambiati a favore di una svolta sovranista di marcata ispirazione neoliberale (vedi Bolsonaro in Brasile e Macrì in Argentina). Venezuela e Bolivia rappresentano allo stato attuale gli ultimi baluardi di estrazione neosocialista all’interno del continente.
I livelli di allarme in tutto il Paese sono tra i più alti registrati negli ultimi decenni. In molti vedono in quanto sta accadendo in queste ore lo spettro della rivolta del 2002-2003 che aveva costretto alla fuga l’allora presidente filo-americano Sanchez de Lozada. I dati sull’esito delle elezioni non sono ancora ufficiali e la paura è che, se confermati quelli comunicati in via provvisoria dal Tse, la tensione di queste ore possa sfociare nei prossimi giorni in un vero conflitto civile.
A La Paz sin dalla giornata di lunedì 21 ottobre ci sono stati duri scontri tra i manifestanti e le forze di polizia, che hanno reagito alle proteste con cariche e lacrimogeni. In vista della comunicazione ufficiale sull’esito delle votazioni, è atteso inoltre in città l’arrivo in massa dei sostenitori di Morales dalle aree rurali, i cosiddetti «ponchos rojos». Si prevedono scontri tra i campesinos in poncho ed i sostenitori dello sfidante Mesa nella zona del centro tra Plaza San Francisco e Plaza Avaroa. La maggior parte delle attività nell’area sono chiuse e molti dei lavoratori e volontari stranieri sono costretti al coprifuoco dalle rispettive organizzazioni.
Intanto nelle città di Cochabamba e Santa Cruz de la Sierra è stato indetto dalle associazioni di categoria e organizzazioni di protesta uno sciopero generale senza termine, paralizzando le reti di trasporto e distribuzione di mezza Bolivia. Per arginare l’ondata di paura, l’ente boliviano preposto alla gestione alimentare nel paese (Emapa) ha inoltrato un comunicato ufficiale in cui si avvisano i consumatori che le scorte alimentari del Paese sono regolarmente disponibili. Tuttavia, in molti in queste ore stanno assaltando negozi e supermercati in vista di una eventuale razionalizzazione dei prodotti. Gli occhi di tutto il Paese (e non solo) sono puntati sul Tribunale elettorale. Dall’esito ufficiale potrebbe dipendere la stabilità sociale e politica nell’intero Paese.