Mentre la sedicente Guardia costiera di Tripoli festeggia il rinnovo dei finanziamenti italiani, all’interno della maggioranza di governo c’è chi vorrebbe rottamare le politiche salviniane. Ma per ora la discontinuità è solo sulla carta. Il M5s e gran parte del Pd stanno a guardare

«Il governo libico non può essere nostro interlocutore. Non voglio discutere con Tripoli di come una banda di trafficanti che si fa chiamare Guardia costiera possa comportarsi diversamente, oppure di come chi gestisce i lager libici possa farlo in modo meno disumano».

Così il deputato ed ex presidente del Pd, Matteo Orfini, commenta il rinnovo del Memorandum Italia-Libia sui migranti, arrivando a definirlo «una sconfitta personale». L’accordo, sottoscritto il 2 febbraio 2017 all’epoca dell’esecutivo Gentiloni, è composto di otto articoli.

Al di là di alcuni buoni propositi contenuti nel patto (rimasti lettera morta), è servito soprattutto ad addestrare e fornire mezzi alla sedicente Guardia costiera libica, formata da milizie contigue ai trafficanti di esseri umani, e a finanziare i cosiddetti «centri di accoglienza» nel Paese nordafricano. Quelli in cui torture e omicidi, come dimostrato da molte inchieste giornalistiche, rappresentano una spaventosa routine.

Ciò nonostante, elogiando gli effetti del Memorandum, nel 2017 l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti aveva potuto rivendicare il suo “successo”: una drastica riduzione delle partenze di migranti dalla Libia. Migranti condannati, grazie anche agli accordi stretti da Minniti coi sindaci libici e al suo Codice per le Ong, a vivere in condizioni disumane oppure ad affrontare una rischiosissima traversata del Mediterraneo che somiglia più a una roulette russa con in palio la propria sopravvivenza…

L’inchiesta di Alessia Gasparini e Leonardo Filippi prosegue su Left in edicola dall’8 novembre

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