Avanzata dell'estrema destra alle elezioni del 10 novembre in Spagna. Le possibilità adesso sono due: o le larghe intese con i popolari o l'alleanza con Unidas Podemos. Ada Colau: «Pedro, le tue elezioni sono state un fallimento»

Le urne hanno confermato che la scelta di Sánchez e dei socialisti di riportare la Spagna al voto, per la quarta volta in quattro anni, è stato un errore che era meglio evitare. Il Psoe perde tre seggi e rimane con 120 deputati, Unidas Podemos scende da 42 a 35, il PP sale da 66 a 88 seggi, Vox diventa terza forza con 52 deputati e Ciudadanos sparisce con solo 10 deputati. Nessuna forza ottiene la maggioranza assoluta per poter governare da sola. Vox, il partito di Santiago Abascal, si configura come la principale minaccia del bipartitismo.

Si è sciolta l’incognita Más País, la nuova formazione a sinistra del Psoe, che avrà solo tre deputati, contro i 15 che si aspettava, ma Íñigo Errejón ha insistito sull’idea che i numeri rendono possibile un governo progressista e la responsabilità è raggiungere un accordo dopo le elezioni. E, sebbene Más País abbia sostenuto di non voler sottrarre i voti a Unidas Podemos, i numeri sono chiari: la somma di Unidas Podemos -3.090.540- e Más País -553.009 – supera la somma dei voti di Vox, 3.632.410.

La nuova opportunità elettorale è stato un regalo inaspettato per le destre spagnole che erano state fermate, ma che ora tornano alla ribalta, in qualche modo determinanti. La crescita a destra riconcentra i suoi voti sul PP di Casado, penalizzando di conseguenza Ciudadanos, fino a renderlo non significativo, ma soprattutto sdogana definitivamente il partito di ultradestra Vox con le sue politiche sessiste e razziste.

Ripetere più o meno lo stesso risultato elettorale del 28 aprile scorso per le sinistre è stato il migliore scenario possibile. Il Psoe vince numericamente le elezioni, ma senza migliorare il suo ultimo risultato elettorale e per governare è comunque vincolato al voto degli indipendentisti. Queste elezioni non hanno cancellato Unidas Podemos, come auspicava qualcuno tra i socialisti, che rimane una forza essenziale per un governo di sinistra.

Se c’è qualcosa di positivo in questo voto, è che teoricamente lascia ai socialisti la stessa possibilità che avevano dopo le precedenti elezioni di dare vita a un governo di coalizione e progressista. Possibilità solo teorica perché richiederebbe una nuova svolta a sinistra del Psoe, difficile dopo il netto spostamento a destra che ha portato al rifiuto di qualsiasi accordo con Podemos.

Si sono di fatto abbandonati i punti qualificanti del patto di bilancio concordato fra Iglesias e Sánchez, fra cui la possibilità di mettere regole precise al mercato dell’affitto sconvolto da una bolla speculativa che ha messo in discussione in tutte le città spagnole il diritto costituzionale ad avere una abitazione, per consegnarsi a un turismo distruttore e demolitore di ogni identità urbana. In più è stata accantonata la deroga delle due leggi simbolo dei governi della destra: quella sul lavoro e quella sulla sicurezza cittadina, detta legge bavaglio, la repressiva Ley Mordaza.

Ma la conferma di questa svolta a destra è l’avere derubricato i gravi problemi sociali che colpiscono la Spagna, per concentrare tutto lo scontro elettorale sulla Catalogna.
Dopo l’iniqua sentenza che ha condannato a più di 100 anni di detenzione i dirigenti indipendentisti catalani si è accettato di mettere al centro dello scontro elettorale ciò che le destre volevano e cioè la questione territoriale. Il dialogo ha lasciato il posto a una progressiva accentuazione della scelta repressiva che ha significato per i socialisti abbandonare il terreno della plurinazionalità.

Il risultato elettorale lascia ora ai socialisti due possibilità o continuare a piegarsi ai poteri forti delle banche, alle grandi corporazioni energetiche e ai grandi patrimoni, con un indurimento delle misure sociali ed ambientali e della repressione in Catalogna, o tornare a quel progetto con cui Sánchez si riprese la segreteria del Psoe, basato su una svolta nelle politiche sociali ed economiche e sulla volontà di trovare una soluzione politica alla questione catalana.

La prima scelta passa per un accordo con le destre, isolando la parte estrema di Vox, e cercando l’intesa con il PP, un ritorno al passato, alle larghe intese in nome della governabilità e della stabilità. La seconda per la coalizione con Unidas Podemos con l’appoggio dei nazionalisti baschi del PNV e di ERC, la forza indipendentista catalana. Quindi o Sánchez fa un’offerta al PP di Pablo Casado, dando di nuovo spazio al modello neoliberista europeo, o dovrà ricercare quei partner che ha disprezzato in giugno e luglio.

Se per una volta si guardasse a ciò che la vicenda catalana sta oscurando e cioè l’enorme crisi sociale e ambientale che sta lentamente colpendo l’Europa, Spagna compresa, forse i socialisti capirebbero che il prezzo da pagare per una soluzione della crisi puntando alle larghe intese è troppo alto. La situazione obiettiva spingerà il PP e quel poco che resta di Ciudadanos verso scelte sempre più autoritarie, sotto forma di nazionalismo e razzismo, e sempre più verso la destra estrema di Vox.

Ada Colau, sindaca di Barcellona, verso mezzanotte ha twittato: “Nessuna persona democratica e progressista può essere contenta oggi. L’estrema destra avanza per l’incapacità della sinistra. Pedro (Sánchez) le tue elezioni sono state un fallimento. E in generale, o la sinistra fa un fronte ampio, o andiamo todas a la mierda”.