«La Corte di Cassazione dà ragione alla Lega: per avere il permesso di soggiorno per motivi umanitari non basta dimostrare di essersi 'integrati'. Alla faccia di quelli che riaprono i porti e che vogliono cancellare i decreti sicurezza». Questo il commento di Matteo Salvini alla sentenza della Cassazione che ha accolto un ricorso presentato dal Viminale stabilendo che le richieste di permesso di soggiorno per motivi umanitari di tre migranti, due di origine gambiana e un bengalese, siano nuovamente esaminate. Peccato che quanto dice l'ex ministro dell'Interno non sia vero: la Corte di Cassazione non dà ragione alla Lega, anzi, boccia sostanzialmente lo spirito e l'interpretazione dei "suoi" decreti Sicurezza. Vediamo perché. Innanzitutto, la Suprema Corte ha stabilito la non retroattività del primo decreto sicurezza, per cui tutte le domande di protezione umanitaria presentate prima del 5 ottobre 2018, quando cioè il decreto è entrato in vigore, dovranno essere esaminate alla luce della normativa allora vigente. Insomma, non si tratta certo di una conferma della "linea dura" di Salvini sull'immigrazione, che anzi viene parzialmente demolita, perlomeno per i migranti che hanno chiesto all'Italia di valutare lo status di protezione internazionale prima dell'entrata in vigore della norma. Inoltre, la Corte ha stabilito che il solo dato di esseri socialmente ed economicamente inseriti in Italia non basta per concedere ai migranti il permesso di soggiorno per motivi umanitari, ed è necessario anche valutare la "specifica compromissione" dei diritti umani nei rispettivi Paesi di origine. Una decisione che ricalca una precedente sentenza della Cassazione, quella del 23 febbraio 2018, la 4455/2018, che indicava come parametro per il riconoscimento della protezione umanitaria la comparazione tra la condizione del richiedente asilo in Italia e la condizione di vulnerabilità cui era esposto il richiedente nel Paese d’origine. Tale decisione però, al contrario di quanto sostiene la propaganda delle destre, non ha nulla a che vedere con l'impianto dei decreti sicurezza. «Colpisce innanzitutto il totale capovolgimento di senso della sentenza da parte della stampa vicina al precedente governo - dice a Left Fulvio Vassallo, giurista e attivista per i diritti dei migranti - la quale, piuttosto che mettere in evidenza la sconfitta totale della linea della retroattività del decreto Salvini, si punta su un’affermazione della Corte che non è neanche nuova. Già in passato si era messo in rilievo come il criterio dell’integrazione sociale non possa essere considerato in modo isolato ma vada rapportato alla situazione della persona nel Paese di origine». «I presupposti della protezione umanitaria - prosegue Vassallo - sono molto più ampi di quelli richiesti per la sussidiaria e per l’asilo e non si basano su una situazione di pericolo che corre la persona ma su una comparazione tra la situazione che ha la persona giunta in Italia e quella che sarebbe la situazione di questa persona se venisse riportata nel Paese di origine. La protezione umanitaria, evidentemente, alla luce di questa sentenza, va riconosciuta con gli stessi requisiti a tutte le persone che hanno fatto richiesta di protezione prima dell’entrata in vigore del decreto Salvini». La comparazione dell'integrazione sociale del migrante con la situazione della persona nel Paese di origine, insomma, è una forma di tutela giuridica per i profughi che trovano rifugio nel nostro Paese, e la conferma da parte della Suprema corte di questa garanzia non ha nulla a che vedere con l'impianto delle politiche migratorie della Lega. «Le Sezioni Unite - si legge in una nota chiarificatrice diramata dall'Asgi - hanno confermato l’approdo cui era giunta la storica sentenza n. 4455/2018 (seguita da moltissime altre), che ha valorizzato l’integrazione sociale, in attuazione dell’art. 2 della Costituzione e dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani, affermando la necessità di compararla con il rischio di violazione dei diritti fondamentali in caso di rientro nel Paese di origine. Diritti che non costituiscono un catalogo chiuso bensì aperto» «L’insicurezza provocata dal decreto legge n. 113/2018 - prosegue la nota - è stata oggi in parte attenuata grazie alla Corte di cassazione e ora le Commissioni territoriali si potrebbero trovare a dovere riesaminare migliaia di richieste per le quali, dal 5 ottobre 2018, si sono astenute dall’esaminare anche la protezione umanitaria, con ulteriore danno alle finanze pubbliche». E, soprattutto, con danni verso coloro che avevano diritto ad essere protetti dal nostro Paese. Ma la sentenza della Cassazione non può certo essere un punto di arrivo per chi da sinistra lotta contro le politiche disumane contro chi scappa da guerre e persecuzioni. «Per il futuro - ricorda ancora Vassallo - rimane da valutare quanto questo decreto sicurezza sia conforme all’articolo 10 della Costituzione, dal momento che la protezione umanitaria, che il decreto abolisce, in realtà, secondo la stessa Corte di Cassazione, era applicazione diretta di quell'articolo».

«La Corte di Cassazione dà ragione alla Lega: per avere il permesso di soggiorno per motivi umanitari non basta dimostrare di essersi ‘integrati’. Alla faccia di quelli che riaprono i porti e che vogliono cancellare i decreti sicurezza». Questo il commento di Matteo Salvini alla sentenza della Cassazione che ha accolto un ricorso presentato dal Viminale stabilendo che le richieste di permesso di soggiorno per motivi umanitari di tre migranti, due di origine gambiana e un bengalese, siano nuovamente esaminate.

Peccato che quanto dice l’ex ministro dell’Interno non sia vero: la Corte di Cassazione non dà ragione alla Lega, anzi, boccia sostanzialmente lo spirito e l’interpretazione dei “suoi” decreti Sicurezza. Vediamo perché.

Innanzitutto, la Suprema Corte ha stabilito la non retroattività del primo decreto sicurezza, per cui tutte le domande di protezione umanitaria presentate prima del 5 ottobre 2018, quando cioè il decreto è entrato in vigore, dovranno essere esaminate alla luce della normativa allora vigente. Insomma, non si tratta certo di una conferma della “linea dura” di Salvini sull’immigrazione, che anzi viene parzialmente demolita, perlomeno per i migranti che hanno chiesto all’Italia di valutare lo status di protezione internazionale prima dell’entrata in vigore della norma.

Inoltre, la Corte ha stabilito che il solo dato di esseri socialmente ed economicamente inseriti in Italia non basta per concedere ai migranti il permesso di soggiorno per motivi umanitari, ed è necessario anche valutare la “specifica compromissione” dei diritti umani nei rispettivi Paesi di origine. Una decisione che ricalca una precedente sentenza della Cassazione, quella del 23 febbraio 2018, la 4455/2018, che indicava come parametro per il riconoscimento della protezione umanitaria la comparazione tra la condizione del richiedente asilo in Italia e la condizione di vulnerabilità cui era esposto il richiedente nel Paese d’origine. Tale decisione però, al contrario di quanto sostiene la propaganda delle destre, non ha nulla a che vedere con l’impianto dei decreti sicurezza.

«Colpisce innanzitutto il totale capovolgimento di senso della sentenza da parte della stampa vicina al precedente governo – dice a Left Fulvio Vassallo, giurista e attivista per i diritti dei migranti – la quale, piuttosto che mettere in evidenza la sconfitta totale della linea della retroattività del decreto Salvini, si punta su un’affermazione della Corte che non è neanche nuova. Già in passato si era messo in rilievo come il criterio dell’integrazione sociale non possa essere considerato in modo isolato ma vada rapportato alla situazione della persona nel Paese di origine».

«I presupposti della protezione umanitaria – prosegue Vassallo – sono molto più ampi di quelli richiesti per la sussidiaria e per l’asilo e non si basano su una situazione di pericolo che corre la persona ma su una comparazione tra la situazione che ha la persona giunta in Italia e quella che sarebbe la situazione di questa persona se venisse riportata nel Paese di origine. La protezione umanitaria, evidentemente, alla luce di questa sentenza, va riconosciuta con gli stessi requisiti a tutte le persone che hanno fatto richiesta di protezione prima dell’entrata in vigore del decreto Salvini».

La comparazione dell’integrazione sociale del migrante con la situazione della persona nel Paese di origine, insomma, è una forma di tutela giuridica per i profughi che trovano rifugio nel nostro Paese, e la conferma da parte della Suprema corte di questa garanzia non ha nulla a che vedere con l’impianto delle politiche migratorie della Lega.

«Le Sezioni Unite – si legge in una nota chiarificatrice diramata dall’Asgi – hanno confermato l’approdo cui era giunta la storica sentenza n. 4455/2018 (seguita da moltissime altre), che ha valorizzato l’integrazione sociale, in attuazione dell’art. 2 della Costituzione e dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani, affermando la necessità di compararla con il rischio di violazione dei diritti fondamentali in caso di rientro nel Paese di origine. Diritti che non costituiscono un catalogo chiuso bensì aperto»

«L’insicurezza provocata dal decreto legge n. 113/2018 – prosegue la nota – è stata oggi in parte attenuata grazie alla Corte di cassazione e ora le Commissioni territoriali si potrebbero trovare a dovere riesaminare migliaia di richieste per le quali, dal 5 ottobre 2018, si sono astenute dall’esaminare anche la protezione umanitaria, con ulteriore danno alle finanze pubbliche». E, soprattutto, con danni verso coloro che avevano diritto ad essere protetti dal nostro Paese.

Ma la sentenza della Cassazione non può certo essere un punto di arrivo per chi da sinistra lotta contro le politiche disumane contro chi scappa da guerre e persecuzioni. «Per il futuro – ricorda ancora Vassallo – rimane da valutare quanto questo decreto sicurezza sia conforme all’articolo 10 della Costituzione, dal momento che la protezione umanitaria, che il decreto abolisce, in realtà, secondo la stessa Corte di Cassazione, era applicazione diretta di quell’articolo».