Il presidente del Consiglio, la Confindustria, i partiti: tutti ci dicono che l’Italia è all’avanguardia nel Green new deal, nella riconversione ecologica per contrastare i cambiamenti climatici. Ma sarà vero? Cerchiamo di capirlo meglio partendo dal ‘PNIEC’: suona quasi come una parolaccia, sembra uno pneumatico che si sta sgonfiando. Invece no, vuol dire Piano Nazionale Integrato Energia e Clima. Oppure sì? È uno pneumatico sgonfio? Forse sì e forse no. Dipende da quello che succederà da qui al 31 dicembre. Pochi giorni per definire le azioni e gli obiettivi che l’Italia deve attuare dal 2020 al 2030 per ridurre l’impatto su clima. Vi sembra poco? Secondo gli scienziati abbiamo 11 anni per intervenire e mitigare il riscaldamento climatico, la produzione di gas serra, per invertire il trend e portare il nostro pianeta e la nostra società a essere più giusta e sostenibile. Quindi proprio fino al 2030. Solo questa considerazione ci dovrebbe far capire quanto è strategico il PNIEC e quanto è importante che parta come uno pneumatico bello gonfio di interventi e strategie. Eppure non ne parla nessuno. Siamo tutti concentrati sul “fondo salva stati” o sulla finanziaria per decidere qualche centesimo in più o in meno su qualche tassa. Ma che ce ne faremo di qualche centesimo se avremo fallito un piano così importante per il nostro futuro? Cosa è il PNIEC e a cosa serve? A dicembre 2018 la Commissione europea ha definito il regolamento 2018/1999 “sulla governance dell'Unione dell'energia e dell'azione per il clima” che prevede la realizzazione dei “piani nazionali integrati per l'energia e il clima”. Tali piani per il primo periodo (2021-2030) devono dedicare particolare attenzione agli obiettivi 2030 relativi alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, all'energia rinnovabile, all'efficienza energetica e all'interconnessione elettrica. Un altro aspetto da indicare nei piani è la percentuale di popolazione in povertà energetica e gli obiettivi per ridurla. In Italia il 16% della popolazione (dati 2016 dell’Osservatorio Europeo sulla povertà energetica) è in povertà energetica cioè in una situazione nella quale non è in grado di pagare i servizi energetici primari (riscaldamento, raffreddamento, illuminazione, trasporti e corrente) necessari per garantire un tenore di vita dignitoso, a causa di una combinazione di basso reddito, spesa per l’energia elevata e bassa efficienza energetica nelle proprie case. Un chiaro esempio della correlazione che esiste tra giustizia sociale e giustizia ambientale. Le politiche per l’energia rinnovabile devono necessariamente essere orientate anche alla riduzione delle povertà e delle diseguaglianze. Come, appunto, all’eliminazione della povertà energetica. Inoltre l’Italia, per la sua collocazione, è uno dei Paesi europei più esposti alla crisi climatica: si prevede una perdita di alcuni punti percentuali di Pil già a metà secolo e fino al 10% del Pil nella seconda metà del secolo. Il Sud Italia sarà particolarmente colpito dalla crisi climatica, aggravando il già ampio divario delle condizioni economiche del Sud rispetto al resto del Paese. La crisi climatica rischia di aumentare le diseguaglianze non solo tra Sud e Nord ma anche tra ricchi e poveri. Lo schema del PNIEC doveva essere presentato entro il 2018 e il piano definitivo entro il 31 dicembre di quest'anno. L’Italia ha in effetti presentato lo schema di piano a gennaio 2019. Ma a giugno 2019 la Commissione Europea ha rilevato che il piano dovrebbe porre maggiore attenzione al tema dell’efficienza energetica, rafforzando le misure nell’edilizia e nei trasporti e aumentando l’uso di energia rinnovabile per il riscaldamento e il raffrescamento. Devono inoltre essere specificate le misure per ridurre la dipendenza energetica e aumentare la diversificazione. Devono essere stabiliti obiettivi, traguardi e scadenze chiari per realizzare le riforme previste nei mercati dell'energia. Elencate le azioni intraprese per eliminare i sussidi per i combustibili fossili. Soprattutto devono essere precisati gli obiettivi e i finanziamenti per ricerca e innovazione, affrontati i problemi della povertà energetica e specificati anche come garantire una transizione equa, in particolare fornendo maggiori dettagli sugli impatti sociali, occupazionali, delle competenze e sulla distribuzione del reddito. In sintesi un mezzo disastro. Che dobbiamo recuperare entro il 31 dicembre. Sono in corso audizioni presso le commissioni parlamentari. Riusciremo a migliorare il nostro piano? Ma soprattutto riusciremo a realizzare gli impegni che prenderemo? È auspicabile, ma un controllo dal basso e un’adeguata e costante informazione saranno essenziali per monitorare l’efficacia del processo di riconversione ecologica. Anche perché l’Italia considera il gas naturale una fonte rinnovabile. Ma il gas naturale è destinato a esaurirsi e, soprattutto, genera comunque effetto serra. Certo meno del carbone o del petrolio ma non è impatto zero come le vere rinnovabili. Lo stesso ministro Patuanelli nella recentissima audizione alla Camera del 27 novembre parlava di gas e della realizzazione del gasdotto TAP chiaramente destinato ad mantenere e aumentare l’importazione di gas in Italia. Intanto tra il 2 e il 13 dicembre si tiene il COP25 a Madrid. Un evento importante che speriamo produca indicazioni e impegni concreti in coerenza con l’accordo sul clima di Parigi 2015. Mancano 10 anni per evitare che i cambiamenti climatici siano irreversibili. Possiamo usare questi 10 anni per attuare una transizione ecologica che riduca le diseguaglianze, elimini la povertà energetica e migliori i diritti sociali, civili e ambientali che sono ormai chiaramente fortemente interconnessi. Oppure possiamo usare questo tempo per sviluppare un nuovo “capitalismo verde” che semplicemente trova un nuovo modo di produrre e consumare utilizzando la scusa dell’ecologia per integrare e cambiare l’offerta di prodotti e continuare ad aumentare i propri profitti. La COP25 è in corso, il PNIEC deve essere presentato nei prossimi giorni. In che direzione va, quale modello di transizione prefigura? Sarebbe giusto che, prima di mandarlo alla Commissione, fosse reso disponibile a tutti perché ne possano essere valutate le misure ambientali e i relativi effetti sociali e occupazionali. Il PNIEC varrà per i prossimi 10 anni. Potrebbe essere una grande occasione per dimostrare che è vero che l’Italia è all’avanguardia nel Green New Deal. Oppure no. Una cosa però è certa: non abbiamo più il tempo per perdere l’occasione di essere concreti.
Guido Marinelli, comitato nazionale èViva, cofondatore associazione PerIMolti

Il presidente del Consiglio, la Confindustria, i partiti: tutti ci dicono che l’Italia è all’avanguardia nel Green new deal, nella riconversione ecologica per contrastare i cambiamenti climatici. Ma sarà vero? Cerchiamo di capirlo meglio partendo dal ‘PNIEC’: suona quasi come una parolaccia, sembra uno pneumatico che si sta sgonfiando. Invece no, vuol dire Piano Nazionale Integrato Energia e Clima. Oppure sì? È uno pneumatico sgonfio? Forse sì e forse no. Dipende da quello che succederà da qui al 31 dicembre. Pochi giorni per definire le azioni e gli obiettivi che l’Italia deve attuare dal 2020 al 2030 per ridurre l’impatto su clima.

Vi sembra poco? Secondo gli scienziati abbiamo 11 anni per intervenire e mitigare il riscaldamento climatico, la produzione di gas serra, per invertire il trend e portare il nostro pianeta e la nostra società a essere più giusta e sostenibile. Quindi proprio fino al 2030. Solo questa considerazione ci dovrebbe far capire quanto è strategico il PNIEC e quanto è importante che parta come uno pneumatico bello gonfio di interventi e strategie.

Eppure non ne parla nessuno. Siamo tutti concentrati sul “fondo salva stati” o sulla finanziaria per decidere qualche centesimo in più o in meno su qualche tassa. Ma che ce ne faremo di qualche centesimo se avremo fallito un piano così importante per il nostro futuro?

Cosa è il PNIEC e a cosa serve? A dicembre 2018 la Commissione europea ha definito il regolamento 2018/1999 “sulla governance dell’Unione dell’energia e dell’azione per il clima” che prevede la realizzazione dei “piani nazionali integrati per l’energia e il clima”. Tali piani per il primo periodo (2021-2030) devono dedicare particolare attenzione agli obiettivi 2030 relativi alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, all’energia rinnovabile, all’efficienza energetica e all’interconnessione elettrica. Un altro aspetto da indicare nei piani è la percentuale di popolazione in povertà energetica e gli obiettivi per ridurla. In Italia il 16% della popolazione (dati 2016 dell’Osservatorio Europeo sulla povertà energetica) è in povertà energetica cioè in una situazione nella quale non è in grado di pagare i servizi energetici primari (riscaldamento, raffreddamento, illuminazione, trasporti e corrente) necessari per garantire un tenore di vita dignitoso, a causa di una combinazione di basso reddito, spesa per l’energia elevata e bassa efficienza energetica nelle proprie case. Un chiaro esempio della correlazione che esiste tra giustizia sociale e giustizia ambientale. Le politiche per l’energia rinnovabile devono necessariamente essere orientate anche alla riduzione delle povertà e delle diseguaglianze. Come, appunto, all’eliminazione della povertà energetica.

Inoltre l’Italia, per la sua collocazione, è uno dei Paesi europei più esposti alla crisi climatica: si prevede una perdita di alcuni punti percentuali di Pil già a metà secolo e fino al 10% del Pil nella seconda metà del secolo. Il Sud Italia sarà particolarmente colpito dalla crisi climatica, aggravando il già ampio divario delle condizioni economiche del Sud rispetto al resto del Paese. La crisi climatica rischia di aumentare le diseguaglianze non solo tra Sud e Nord ma anche tra ricchi e poveri.

Lo schema del PNIEC doveva essere presentato entro il 2018 e il piano definitivo entro il 31 dicembre di quest’anno. L’Italia ha in effetti presentato lo schema di piano a gennaio 2019. Ma a giugno 2019 la Commissione Europea ha rilevato che il piano dovrebbe porre maggiore attenzione al tema dell’efficienza energetica, rafforzando le misure nell’edilizia e nei trasporti e aumentando l’uso di energia rinnovabile per il riscaldamento e il raffrescamento. Devono inoltre essere specificate le misure per ridurre la dipendenza energetica e aumentare la diversificazione. Devono essere stabiliti obiettivi, traguardi e scadenze chiari per realizzare le riforme previste nei mercati dell’energia. Elencate le azioni intraprese per eliminare i sussidi per i combustibili fossili. Soprattutto devono essere precisati gli obiettivi e i finanziamenti per ricerca e innovazione, affrontati i problemi della povertà energetica e specificati anche come garantire una transizione equa, in particolare fornendo maggiori dettagli sugli impatti sociali, occupazionali, delle competenze e sulla distribuzione del reddito.

In sintesi un mezzo disastro. Che dobbiamo recuperare entro il 31 dicembre. Sono in corso audizioni presso le commissioni parlamentari. Riusciremo a migliorare il nostro piano? Ma soprattutto riusciremo a realizzare gli impegni che prenderemo? È auspicabile, ma un controllo dal basso e un’adeguata e costante informazione saranno essenziali per monitorare l’efficacia del processo di riconversione ecologica. Anche perché l’Italia considera il gas naturale una fonte rinnovabile. Ma il gas naturale è destinato a esaurirsi e, soprattutto, genera comunque effetto serra. Certo meno del carbone o del petrolio ma non è impatto zero come le vere rinnovabili. Lo stesso ministro Patuanelli nella recentissima audizione alla Camera del 27 novembre parlava di gas e della realizzazione del gasdotto TAP chiaramente destinato ad mantenere e aumentare l’importazione di gas in Italia.

Intanto tra il 2 e il 13 dicembre si tiene il COP25 a Madrid. Un evento importante che speriamo produca indicazioni e impegni concreti in coerenza con l’accordo sul clima di Parigi 2015.

Mancano 10 anni per evitare che i cambiamenti climatici siano irreversibili. Possiamo usare questi 10 anni per attuare una transizione ecologica che riduca le diseguaglianze, elimini la povertà energetica e migliori i diritti sociali, civili e ambientali che sono ormai chiaramente fortemente interconnessi. Oppure possiamo usare questo tempo per sviluppare un nuovo “capitalismo verde” che semplicemente trova un nuovo modo di produrre e consumare utilizzando la scusa dell’ecologia per integrare e cambiare l’offerta di prodotti e continuare ad aumentare i propri profitti. La COP25 è in corso, il PNIEC deve essere presentato nei prossimi giorni. In che direzione va, quale modello di transizione prefigura? Sarebbe giusto che, prima di mandarlo alla Commissione, fosse reso disponibile a tutti perché ne possano essere valutate le misure ambientali e i relativi effetti sociali e occupazionali. Il PNIEC varrà per i prossimi 10 anni. Potrebbe essere una grande occasione per dimostrare che è vero che l’Italia è all’avanguardia nel Green New Deal. Oppure no. Una cosa però è certa: non abbiamo più il tempo per perdere l’occasione di essere concreti.

Guido Marinelli, comitato nazionale èViva, cofondatore associazione PerIMolti