C’è chi ama la pioggia e chi non sopporta la pioggia, c’è chi cammina stando a stento a non pestare le righe della pavimentazione e chi invece ha paura di prendere l’ascensore. Io ho sempre avuto una passione quasi insana per le parole che fatico a spiegare o a farmi spiegare.
Mi spiego: lo stare insieme, ad esempio, le regole che governano lo stare insieme, cosa accade quando una cittadinanza o gli abitanti di una nazione smettono di essere un blocco sociale, cominciano a sfaldarsi, quella colla che tiene insieme le persone e che poi improvvisamente si secca e comincia a sbriciolarsi e le persone che prima camminavano fianco a fianco, addirittura per mano, improvvisamente non riescono più a capirsi, non sorridono più all’unisono, non sorridono nemmeno più, iniziano a guardarsi di sbieco, non si fidano e non si sopportano, e da fuori sembra che non sia accaduto niente, nessun fatto e nessun problema conclamato ma è come se si perdesse il senso e le persone diventano isole, il paese diventa un arcipelago di persone sole che si sfogano solo un po’. Ecco, quando si sfalda una comunità, non so nemmeno se esiste una parole, se c’è un verbo per descrivere questa cosa qui, quella è una delle cose che mi fa volare via.
Mi accade per il contrario, ben inteso, mi accade anche quando persone che prima si strusciavano appena, magari solo pestandosi il piede mentre si infilavano di corsa a farcire un treno pendolare, improvvisamente, perché da fuori gli amori e i disamori sembrano sempre improvvisi se ci pensate come se non ci fossero sfumature, e poi quei due che si sono maledetti per una gomitata accidentale una mattina, una mattina come tutte le mattine senza nemmeno troppo freddo o troppo caldo o troppo umido o con il treno più in ritardo rispetto al solito e nemmeno con più pendolari del solito, si guardano con un secondo in più di attenzione, come se si impigliassero uno addosso all’altro, si fermano a notare l’attaccatura dei capelli o le mani quanto sono sottili e la pelle e le orecchie e i cuori si sintonizzano come la chiave giusta per il bullone pescata al primo colpo dal mazzo, e sono tutti e due vicini come se fossero nati così, talmente allineati da sentire il singhiozzo di un bisogno l’uno dell’altro, come se avessero trovato un vocabolario comune, la stessa lente per osservare il mondo intorno.
E si fanno comunità. A me polverizza il cervello capire quella cosa lì, quando un gruppo di persone si fanno una cosa unica. Comunità la chiamano. Comunità si dice in italiano. Se sfogliate il vocabolario trovate la spiegazione ma non ci sono le istruzioni.
(dal mio spettacolo Se si insegnasse la bellezza, scritto per l’associazione Comuni Virtuosi. Con le piazze piene di questi giorni vale la pena riflettere, sulla comunità)
Buon lunedì.