Con il provvedimento che entra in vigore il 1 gennaio 2020 non diminuiscono i tempi dei processi. E anzi, si pregiudica irrimediabilmente la posizione giuridica della persona sottoposta a processo penale

È chiaro che l’esigenza di una modifica strutturale delle norme che regolano il sistema giudiziario italiano è priorità da chiunque abbia avuto l’occasione di approcciarsi, anche in maniera occasionale, col sistema giustizia.
Ed infatti, sia nell’ambito civile che in quello penale, i problemi sono numerosi e – nella maggior parte dei casi – i medesimi: i tempi, la carenza del personale, la mancanza di strumenti idonei ed all’avanguardia e la commistione della politica nelle scelte dell’organo di autogoverno della magistratura, solo per dirne alcuni.

In questo senso, il provvedimento che presenta una serie di preoccupanti elementi di allarme e lacune è rinvenibile nella cosiddetta Legge Spazzacorrotti, che, certamente da un lato ha il merito di aver innalzato le pene per i corruttori, senza tuttavia, dall’altro lato, risolvere nulla sul lungo periodo, anzi.

Il passaggio da censurare in questa Legge è senza dubbio quello concernente la sospensione della prescrizione: in particolare, l’art. 1, lett. d), e), f) prescrive sul punto che il corso della prescrizione rimanga sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado (non solo di condanna ma addirittura di assoluzione) o del decreto di condanna, fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna.

È evidente come una soluzione del genere – che dispiegherà i propri effetti dal 1 gennaio 2020 – sia assolutamente inadeguata ed inadatta a diminuire i tempi dei processi e, anzi, pregiudichi irrimediabilmente la posizione giuridica della persona sottoposta a processo penale.

Le manifestazioni contrarie sono molteplici ed arrivano da più fronti: la maratona oratoria dell’Ucp (Unione camere penali) di fronte alla Cassazione, presso la quale – tra le tante forze – si è recata una delegazione di Italia Viva, Forza Italia, della Lega e del Pd, oltre all’apprezzabile presenza della senatrice Emma Bonino. Ed ancora la manifestazione promossa da Italia Stato di diritto e dal prof. Marcello Gallo avanti al Palagiustizia di Torino, coi penalisti in toga per dire “no” a quella che più che un passo avanti pare una controriforma.

I penalisti, presieduti dall’avvocato Caiazza, hanno anche incontrato l’onorevole Andrea Orlando – vice segretario del Partito democratico – e la senatrice Dem Pinotti, componente della segreteria del Pd per conoscere «i concreti intendimenti del Partito Democratico per impedire che dal primo gennaio 2020 diventi operativa la regola del processo infinito», come si legge in una nota e nelle agenzie di stampa.

Non si dimentichi l’appello rivolto ai Senatori, ai Deputati, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della Giustizia, dai 120 professori universitari di Diritto Costituzionale, di Diritto Penale, di Diritto processuale penale col quale, assieme alla Giunta dell’Unione delle Camere penali italiane, si è chiesto tecnicamente il blocco della nuova prescrizione.

Forse non ci si rende conto: per una lunga fase, la “nuova non prescrizione” dovrà convivere con la disciplina sulla prescrizione introdotta nel 2017 dalla “legge Orlando”, così determinandosi nel sistema la contemporanea operatività di almeno tre diversi regimi sostanziali. Ma ancora di più: dare un “fine processo mai” è sinonimo di assenza di ragionevolezza.

Possibile che sia così complicato ipotizzare regole per rendere effettiva la funzione di filtro dell’udienza preliminare (oggi totalmente disattesa, come tale) oppure un rilancio dei riti alternativi con l’innalzamento dei limiti edittali che consentono l’operatività del patteggiamento, estendendone l’operatività; favorire l’accesso al giudizio abbreviato condizionato in modo più snello. Anzi, ridurre i termini di prescrizione piuttosto che eliminarli e sanzionare chi non si allinea ad una “ragionevole durata del processo”.

L’assunto logico è semplice: la diminuzione della durata dei processi passa necessariamente attraverso la riduzione del numero degli stessi. E allora, risulta chiaro come una soluzione in questo senso possa essere identificata – in ambito penale – nell’anticipazione della lotta dei fenomeni criminali, soprattutto quelli relativi ai reati societari, nel terreno della prevenzione, al posto di quello della repressione.
Un dato è certo: la riforma non è più rimandabile e la prescrizione, come un diamante, va incastonata in una montatura complessa ed uniforme per garantire la sua esatta collocazione.

L’avvocato Alessandro Parrotta è direttore Ispeg, Istituto degli studi politici economici giuridici