Il 2019 sarà sicuramente ricordato come l’anno in cui i protagonisti sono stati centinaia di migliaia di comuni cittadini arabi. Da Algeri a Baghdad passando per Beirut, giovani e anziani, studenti e donne hanno sfidato con coraggio e stanno tuttora lottando contro un’intera classe politica corrotta e incapace di rispondere ai loro bisogni. Le piazze gremite del venerdì (Algeria), le tende di proteste allestite nelle principali piazze delle capitali (Libano e Iraq) hanno portato molti osservatori a parlare di una «seconda ondata delle Primavere arabe del 2011». «Le radici delle contestazioni che vediamo oggi hanno le loro basi nel 2011 – sostiene Mona Yacoubian, esperta di Medio Oriente allo United States Istitute of Peace – Chi protesta ora ha assorbito le lezioni delle precedenti rivolte e le ha sviluppate. In Libano e Iraq, i manifestanti protestano contro il settarismo invece di promuovere una più vibrante identità nazionale».
Da Algeri fino a Beirut, lo slogan contro l’intera classe politica di fatto è stato lo stesso: «Tutti, significa tutti». Le proteste hanno riscosso un enorme sostegno popolare e finora non hanno dato vita a ideologie divisive (come è invece avvenuto in Egitto). Pur nelle loro peculiarità trattandosi di contesti variegati e in certi casi lontani, esistono dei punti comuni che legano Algeria, Libano e Iraq. In primo luogo, in tutti e tre i Paesi i cittadini hanno scelto di manifestare pacificamente per non fare la stessa fine dei loro vicini regionali (Siria in particolare), per attrarre maggiore sostegno interno e internazionale e non dare ai loro governi la scusa di usare tattiche repressive. Altro elemento comune è il protagonismo femminile, un bello schiaffo in faccia per i tanti che in Occidente continuano a ritenere le donne arabe solo «angeli del focolare».
L’Algeria è stata la prima a rivoltarsi in massa. Qui le manifestazioni del movimento popolare (hirak) si sono…