«Anche se è un sostituto imperfetto, la cannabis light produce danni alla criminalità organizzata per il 10-11% del loro fatturato», spiega a Left Luca Marola, creatore di Easy Joint, citando i dati di una ricerca della York University redatta da tre italiani (Do it yourself medicine? di Carrieri, Madio, Principe, 2019) da cui si ricavano anche le evidenti ricadute della cannabis light e di quella terapeutica sulle prescrizioni di oppioidi, ansiolitici, sedativi, antidepressivi ecc. «Lo stato di Washington ha visto crollare i prezzi nel mercato illegale per effetto della legalizzazione», segnala a Left Federico Varese, criminologo a Oxford e autore, fra l’altro, di Mafie in movimento. Come il crimine organizzato conquista nuovi territori (Einaudi, 2011).
Pochi giorni fa, la presidente del Senato, la forzista Casellati, ha dichiarato inammissibile un emendamento alla manovra che avrebbe chiarito la legalità del mercato di quella sostanza, infiorescenze comprese, fino allo 0,5% di Thc, considerato il limite di psicoattività. Una norma attesa da tutta la filiera e che avrebbe fruttato mezzo milione di euro di accise all’erario, ma che s’è infranta contro la barriera del proibizionismo di Lega, post-fascisti, integralisti cattolici. La guerra alla droga ha voluto assumere i contorni surreali di guerra alla non droga. Perché quella light è “canapone”, lontanissima dall’immaginazione allegorica «messa a disposizione del pensiero dall’ebbrezza dell’hashish» di cui parlava Benjamin nei Passages. È marijuana che non sballa, rilassante (il Cbd, cannabinolo, agisce contro stress, ansia, dolore e insonnia) ma non psicotropa.
Così, mentre nel mondo anglosassone il dibattito è su quale modello scegliere per la legalizzazione, se quello dei “cannabis social club” oppure il “profit-driven” con le multinazionali a farla da padrone «e il rischio di ingresso di capitali illegali e di costituzione di una lobby che riduca il lavoro sull’educazione», avverte Varese, qui da noi la nuova guerra è…