Il “presidente degli italiani” fu un grande riformista, era convinto della necessità che il socialismo fosse radicato nella classe lavoratrice e nella sinistra politica. Oggi è centrale il nesso indissolubile che vedeva fra giustizia sociale e libertà

Sandro Pertini trascorse quattordici anni ininterrotti tra carcere e confino, dal momento del suo arresto nel 1929, quando era tornato in Italia dalla Francia sotto falso nome, al suo rilascio nell’isola di Ventotene, dopo la caduta del fascismo il 25 luglio 1943. Fu privato della libertà a trentatré anni, la riacquistò a quarantasette. Gli anni più fecondi della vita di un uomo. Mai perse la sua fede nella libertà, nella democrazia, nel socialismo, giungendo fino a sconfessare la domanda di grazia che sua madre, Maria Muzio, sapendolo in pericolo di vita perché colpito da tubercolosi, aveva indirizzato al duce Benito Mussolini. Apparteneva per di più a quel Partito socialista che era il principale sconfitto dall’avvento del fascismo e gli si era avvicinato non nel momento del suo fulgore, ma quando veniva estirpato con la violenza dalla società italiana. Portato di fronte al Tribunale speciale del regime, era stato il solo che al momento della condanna aveva gridato “Viva il socialismo” mentre gli altri condannati gridavano in genere “Viva il comunismo” o “viva l’anarchia.”

Dopo l’armistizio dell’8 settembre, Pertini fu uno dei capi della resistenza ai tedeschi e ai fascisti della Repubblica Sociale. Catturato a Roma e imprigionato a Regina Coeli, venne condannato a morte insieme all’altro socialista Giuseppe Saragat, anche lui futuro presidente della Repubblica. Il Psi riuscì a farli evadere con ordini di scarcerazioni falsi, grazie all’azione di Giuliano Vassalli e alla collaborazione del medico del carcere Alfredo Monaco e di sua moglie Marcella. Se non fossero riusciti ad evadere, i due esponenti socialisti sarebbero certamente finiti alle Fosse Ardeatine. Questo patrimonio di sacrifici, di fiducia e di coraggio, unito ad una personalità vigorosa e diretta, gli valse quel grande rispetto e considerazione che egli poté mettere a frutto quando, tra gli ottantuno e gli ottantotto anni, ricoprì l’altissimo incarico di presidente della Repubblica in un periodo difficilissimo della storia d’Italia.

La sua vita dall’incarcerazione fino alla Liberazione dell’Italia nel 1945 è il soggetto del film di Giambattista Assanti, Il giovane Pertini, che attualmente sta girando l’Italia, sia nelle sale cinematografiche che nelle scuole. Lo stesso Assanti ne ha curato la sceneggiatura insieme allo storico Stefano Caretti. Il ruolo del giovane Pertini è interpretato da Gabriele Greco, quello di Pertini anziano da Massimo Dapporto, mentre la madre di Pertini è Dominique Sanda, e la giovane fidanzata Camilla (una figura di cui non si conosceva l’esistenza) è Gaia Bottazzi. Lo stesso Caretti si è prestato a recitare una parte e così chi scrive, in una scena in cui mi trovo a dialogare con una drammatica Amelia Rosselli, magistralmente interpretata da Ivana Monti. In un momento in cui nelle giovani generazioni c’è molta confusione sul fascismo e sul regime del ventennio (“sì Mussolini con gli ebrei aveva sbagliato, ma in fondo la sua era una dittatura bonaria, quasi necessaria in un Paese disordinato come l’Italia…”) spiegare invece come per un delitto di opinione (propaganda antifascista) si poteva tarpare la vita di un uomo, è estremamente importante ed è da augurarsi che il film abbia un’ampia diffusione e conosca un largo successo. Ma chi era Sandro Pertini? Sandro Pertini è stato il frutto migliore che la tradizione del socialismo riformista italiano dei Turati, dei Treves, dei Matteotti, ha da…

L’articolo di Valdo Spini prosegue su Left in edicola dal 3 gennaio

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