Alla fine la Spagna volta pagina con il primo governo di coalizione della sua moderna democrazia, qualcosa senza precedenti dai tempi della II Repubblica (1931), una fase nuova che rivendica il ruolo della politica come mezzo di trasformazione del reale e di opposizione a tutte le destre, per fermarle. Il twitter di un emozionato Pablo Iglesias è come un lieto fine, ma è solo un inizio: #SíSePuede.
Dopo nove anni dalla piazza del 15M (il movimento degli Indignados) accetta la sfida di governare e strappa la vicepresidenza del consiglio, formata però questa volta da due aree, diritti sociali e Agenda 2030, quella che riunisce gli obiettivi delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, con l’ambizione della lotta alla povertà e all’emergenza climatica, passando per la riduzione delle disuguaglianze.
Composizione e programma dicono con chiarezza che quello spagnolo è un governo progressista, in aperta controtendenza, come per il vicino Portogallo, con il resto dell’Europa. È un esecutivo espressione delle due principali forze che si richiamano alla sinistra, quella tradizionale e storica del Psoe di Pedro Sánchez e quella nuova rappresentata dalla coalizione Unidas Podemos, con Pablo Iglesias di Podemos e Alberto Garzón di Izquierda Unida.
Una maggioranza risicata resa …