Incasso record al botteghino, pubblico diviso tra estimatori e delusi, interventi di politici pro e contro, persone del mondo dello spettacolo e non che twittano di essere corsi a vederlo il primo giorno di programmazione, Tolo Tolo scritto e diretto da Checco Zalone (nome d’arte di Luca Medici) trionfa in sala, oscurando gli ottimi risultati di Ficarra e Picone e Antonio Albanese e proiettandosi oltre i 65 milioni di euro del precedente Quo vado.
Soggetto di Virzì, che ne è rimasto co-sceneggiatore, regia di Zalone, che stavolta sostituisce Gennaro Nuziante, prodotto da Valsecchi – ultimo progetto, almeno sulla carta, della loro collaborazione – budget stellare per un progetto italiano di origine controllata pugliese, preceduto da polemiche intorno al videoclip di lancio, accusato di razzismo. Un film, che ottiene un così ampio interesse e soddisfa una attesa così spontanea, non può essere considerato solo un’astuta strategia di marketing o una riuscita commedia italiana/all’italiana come non può essere configurato come l’ennesimo exploit di un artista di talento o il gioco dissacrante di un mattatore che “surfa” abilmente sull’emergenza umanitaria e le migrazioni dal continente africano; è qualcosa di più, si pone come un fenomeno sociale, intercetta un immaginario ed un sentir comune, ne coglie le fibre tissutali su cui rotoliamo di crisi in crisi.
Non è vero che il tema dell’immigrazione non paga sullo schermo e non è vero che all’opinione pubblica non interessa, dipende da come lo si racconta e Zalone – indossando la maschera mostruosa che già Sordi aveva plasmato su di sé come una seconda pelle – sembra saperlo fare e bene, con intelligenza schiva e sincerità mirata, parlando in primo luogo di ciò che gli italiani sono diventati…