Nel corso della storia degli uomini la guerra è un evento ricorrente con i suoi lutti, distruzioni, ferocia. Nell’antichità è oggetto di molte narrazioni, è elogiata dai poeti che ne hanno esaltato la forza, la bellezza, l’eroismo, il coraggio dei vincitori e dei vinti anche se piegati dalla superiorità del nemico. Eppure nei poemi epici accanto all’eroismo aleggia la morte con l’agonia che spesso la precede, il sangue che scorre a fiumi, le ferite, le mutilazioni e il dramma interiore dell’eroe di fronte alla fine della vita.
L’Iliade di Omero, il poema epico con il quale s’inizia la letteratura greca, racconta gli ultimi mesi dell’ultimo anno della guerra decennale che i principi greci coalizzati intrapresero contro Troia, città fiorente situata a sud dell’Ellesponto, a est dell’Egeo, la cui ricchezza si basava essenzialmente sul controllo dei commerci. Le sue mura ciclopiche, secondo il mito costruite dagli dei Apollo e Poseidone, la rendevano sicura e indistruttibile. I Greci che vogliono imporsi sui traffici del Mediterraneo, riusciranno a incendiarla e a rendere schiavi gli abitanti sopravvissuti. La guerra era iniziata non per il rapimento di Elena, la bellissima sposa di Menelao da parte del troiano Paride, come racconta il mito, ma per una rottura dei rapporti tra popoli che si affacciavano sullo stesso mare.
Nell’Iliade si canta la guerra nei suoi vari aspetti: armi, tecniche, duelli e battaglie di massa, tutto descritto con impressionante realismo. Assistiamo ad assemblee di capi e concili di dèi, partecipi anch’essi alle vicende guerresche, schierati a favore dell’uno e dell’altro esercito, dell’uno o dell’altro eroe. Non mancano rassegne delle forze in campo, strategie di assalti, atti di coraggio.
La guerra è vista come un valore positivo, si descrivono le armi degli eroi, i sanguinosi duelli, quasi con un compiacimento accompagnati da ricche similitudini naturalistiche. Gli eroi sono tutti belli e di grande prestanza fisica. Tra i greci Achille è guerriero intrepido, impetuoso ma magnanimo, forte sopra tutti in guerra, pari agli dèi ma inflessibile nella vendetta; Agamennone è valoroso e autoritario, capo di molti armati; il biondo Menelao, coraggioso ma prudente; Aiace, il più forte dopo Achille, baluardo degli Achei, capo di eserciti; Diomede, domatore di cavalli, ardimentoso e assennato; Odisseo dal “multiforme” ingegno, si contraddistingue per l’astuzia. Fra i troiani campeggiano Paride, bello come un dio, gran vanto degli Achei; Enea obbediente ai voleri del fato; Ettore rispettoso del senso del dovere e legato agli affetti familiari. Per tutti la vergogna più grande è il disonore, l’unico codice morale è quello dell’onore e come suprema aspirazione la gloria conquistata in battaglia, o in duello. Brutto e malvagio è invece Tersite che ha un comportamento anti-eroico: manifesta il suo scontento durante l’assemblea dell’esercito, è ricordato come «l’uomo più brutto che fosse venuto a Troia».
Eppure dagli epiteti ai quali si accompagna la parola “guerra” traspare la consapevolezza dei mali che essa comporta. La guerra è “funesta”, “crudele” “sanguinosa”. La voce del poeta dunque ha molte corde, non rimane insensibile di fronte al dolore di un padre che ha perso il proprio figlio (come quello di Priamo per la morte di Ettore) o quando ricorda il destino di gloria riservato ad Achille, destino che si accompagna a una morte nel fiore degli anni.
Simone Weil, scrittrice francese morta nel 1943 all’età di 34, studiosa della filosofia greca, impegnata affinché fosse rispettata la dignità umana, dopo la guerra di Spagna 1938/39 e prima delle atrocità della seconda guerra mondiale quando Achille è visto come un eroe indiscusso dalla Germania nazista, scrive un saggio, La Grecia e le intuizioni precristiane (Torino, 1967) nel quale considera l’Iliade il poema della forza: «il vero argomento, il vero centro dell’Iliade è la forza che adoperata dagli uomini, li piega ed esercita la sua capacità di espropriare i personaggi omerici della loro umanità». Ogni guerra con la sua dissennatezza, anche quella di Troia, rende i guerrieri disumani: questo il pensiero di Weil.
Non è difficile andare con il pensiero al trattamento disumano riservato da Achille al corpo di Ettore da lui ucciso. Il combattimento che precede il duello tra i due eroi è il momento decisivo della guerra: ad esso partecipano uomini e dèi in uno scontro drammatico e senza esclusione di colpi. Achille fa strage dei troiani; protetto dagli dei, dallo scudo e dall’armatura che la madre Teti ha fatto forgiare da Efesto, uccide Ettore dopo averlo inseguito per tre volte intorno alle mura di Troia.
Il duello tra i due è narrato in tutti i passaggi, alla fine Achille «volendo la morte di Ettore divino, scrutando il suo bel corpo, dove più restasse scoperto, con l’asta attraversa il suo morbido collo dove la fuga della vita è più rapida». Il troiano stramazza nella polvere, ma la ferita non gli impedisce di parlare. Achille gli grida: «Cani e uccelli sconceranno il tuo corpo, mentre gli Achei daranno degna sepoltura a Patroclo».
Ettore lo prega di riconsegnare il suo cadavere al vecchio padre e di «non lasciare che lo sbranino i cani». Ma Achille lo guarda bieco e con dure parole si rivolge a lui: «Cane non starmi a pregare, non c’è nessuno che al tuo corpo possa risparmiare i cani, nemmeno se dieci, se venti volte il riscatto venissero qui a portarmi. Nemmeno se Priamo desse ordine di pagarmi a peso d’oro, nemmeno in quel caso, la nobile madre potrà piangerti steso su un letto; tutto intero ti mangeranno cani ed uccelli».
Poi il valoroso Achille si accanisce contro il suo corpo, ne trafigge i talloni e lo lega per i piedi alla sua biga trascinandolo coperto di polvere e sangue nel campo di battaglia. Il cadavere di Ettore viene così trasportato nell’accampamento acheo, dove, dopo il banchetto funebre, il corpo di Patroclo è bruciato e vengono celebrati i giochi in suo onore. Achille promette che chi l’ha ucciso perirà per sua mano ma non riceverà gli onori funebri, verrà gettato in pasto ai cani. Per dodici giorni prosegue lo scempio del corpo dello sfortunato Ettore, che ogni giorno viene per tre volte trascinato attorno alla tomba di Patroclo.
Il corpo del principe troiano, protetto da Apollo, rimane tuttavia incontaminato. Gli stessi dei non approvano il comportamento folle ed ingeneroso di Achille e chiedono a Teti di indurre il figlio a restituire ai troiani il corpo del loro Principe. Il vecchio Priamo con un ingente riscatto si reca di notte nel campo acheo, chiede con umiltà che gli sia restituito il corpo del figlio. Di fronte al vecchio e canuto re, Achille si commuove, pensa a suo padre se dovesse trovarsi in una situazione simile, come gli suggerisce il supplice re troiano e lo tratta con rispetto. Finalmente, l’ira di Achille, la sua asprezza ed il suo dolore si placano. Priamo ritorna a Troia, dove saranno celebrate le giuste esequie per Ettore.
L’autore dell’Iliade, il poema della guerra e delle sue atrocità, con la riconciliazione finale dei due nemici sembra voler superare la cultura dell’orgoglio, della contesa, dell’ira. All’ideologia guerriera che pure è un valore indiscusso dell’aristocrazia arcaica si sovrappone un messaggio di umanità. Il poema iniziato con una lite tra due guerrieri, Achille e Agamennone, per il possesso di una giovane fatta schiava dai greci, termina con il pianto di un padre sul cadavere del più amato degli eroi omerici e di Achille stesso. Il dolore ha reso umana la disumanità della guerra.
La tranquillità offerta dalla pace, contrapposta agli orrori della guerra è già nella descrizione dello scudo di Achille, ricevuto da Efesto, il fabbro dio del fuoco che vi ha raffigurato due città, una in assenza di guerra, tra nozze, banchetti, danze e canti, campi arati, uomini impegnati nella mietitura o nella vendemmia, bestie al pascolo; in quella devastata dalla guerra dominano invece agguati, scontri, violente stragi.
Il dio Efesto ha voluto proteggere quel guerriero con uno scudo dove è rappresentata la vita intera in tutti i suoi aspetti, sereni o dolorosi.