Un report del Consiglio d'Europa boccia l'Italia per i trattamenti inumani e degradanti a cui sottopone la popolazione carceraria. E invita a compiere alcune riforme: «Abolire l'isolamento diurno e ripensare il 41bis»

Un rapporto pubblicato il 21 gennaio dal Comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura (Cpt) fotografa una situazione molto critica delle nostre carceri sotto diversi punti di vista. Innanzitutto da quello del sovraffollamento: «La popolazione carceraria italiana totale ha continuato ad aumentare in modo progressivo. Il Comitato invita nel suo rapporto le autorità italiane a garantire che ogni detenuto disponga di almeno 4 mq di spazio personale vitale nelle celle collettive e ad adoperarsi per promuovere maggiormente il ricorso a misure alternative alla detenzione». Il quadro dipinto dal comitato è confermato anche dai dati statistici forniti dal ministero della Giustizia: al 31 dicembre 2019, a fronte di una capienza regolamentare di 50.688 posti, sono 60.769 i reclusi presenti, di cui circa 10.000 in attesa di primo giudizio. A ciò si aggiungono, stando ancora al rapporto, «carenze materiali riguardanti essenzialmente i locali, docce fatiscenti e insalubri, la struttura spartana ed austera dei cortili di passeggio e in alcuni casi la qualità scadente del cibo».

Il secondo punto di vista si focalizza sui maltrattamenti fisici inflitti ai detenuti da parte del personale di polizia penitenziaria: il rapporto illustra alcuni casi di percosse (anche nei confronti di un detenuto sottoposto a regime “41-bis”) su cui sono state raccolte informazioni, in particolare nel carcere di Viterbo. «Tali maltrattamenti – prosegue il documento del Comitato – consistevano principalmente nell’estrarre i detenuti dalla loro cella a seguito di un evento critico e nell’infliggere loro calci, pugni e colpi di manganello in luoghi non coperti da telecamere a circuito chiuso. Il Comitato ha potuto osservare nelle cartelle cliniche dei detenuti in questione descrizioni di lesioni corporali considerate compatibili con le accuse di maltrattamento».

Fra i maltrattamenti denunciati e raccolti dal Cpt, c’è quello di bruciare i piedi a un detenuto soggetto al 41 bis per verificare se stesse fingendo uno stato catatonico. Ma anche il caso di un detenuto preso a pugni da un gruppo di agenti verosimilmente per fargli dire come fosse riuscito a far entrare nel carcere un cellulare trovato nella sua cella. Nel suo rapporto, il Cpt scrive che a Viterbo «alcuni detenuti, intervistati separatamente, hanno identificato specifici agenti e ispettori come autori di numerosi episodi di presunti maltrattamenti e hanno parlato dell’esistenza di un gruppo informale d’intervento punitivo della polizia penitenziaria o squadretta». Inoltre, l’organo di Strasburgo sostiene che, «anche se la maggior parte dei carcerati ha affermato di essere trattata correttamente», la delegazione che ha condotto la visita ha «ricevuto denunce su un uso eccessivo della forza e maltrattamenti fisici» anche nelle carceri di Biella, Milano Opera e Saluzzo.

Nel terzo punto, forse quello più significativo, il Cpt raccomanda di abolire la misura d’isolamento diurno (che può andare dai due mesi ai tre anni) imposta dal tribunale come sanzione penale accessoria per i detenuti condannati a reati che prevedono la pena dell’ergastolo. Il Comitato considera «anacronistico», in particolare alla luce degli effetti dannosi che l’isolamento prolungato può avere su detenuti che intraprendono un percorso positivo di risocializzazione.

In ultimo, il Cpt ha esaminato l’applicazione delle estese restrizioni imposte ai detenuti soggetti al regime detentivo speciale previsto dall’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario presso le carceri di Milano Opera e di Viterbo, «rilevando le carenti condizioni materiali di detenzione osservate nelle celle (come un accesso insufficiente alla luce naturale e una ventilazione inadeguata), nelle sale comuni (mobilio fatiscente e illuminazione artificiale non funzionante) e nei cortili adibiti al passeggio, la carenza di attività minime destinate a creare momenti propositivi e la limitata dimensione dei gruppi di socialità (un massimo di quattro componenti, ridotto a due nelle cosiddette aree riservate). Tutto ciò impone «di avviare una seria riflessione sul bilanciamento tra le esigenze di lotta alla criminalità organizzata e il rispetto del concetto della funzione rieducativa della pena, alla luce dell’articolo 27 della Costituzione italiana».

Sollecitata dai giornalisti, la senatrice a vita Liliana Segre dopo la sua visita nella casa circondariale milanese di San Vittore dove ha incontrato i reclusi e dove lei stessa fu trattenuta prima di essere deportata ad Auschwitz ha così commentato: «Io sono sempre perché ci sia umanità; poi le guardie carcerarie possono essere troppo poche per la quantità di detenuti che ci sono. E troppi detenuti sono in uno spazio che dovrebbe essere più grande. È questo il mio parere da cittadina che legge i giornali».

Alessandro Capriccioli, consigliere regionale del Lazio di PiùEuropa che si è occupato da vicino delle problematiche del carcere di Viterbo, ha rivelato che «le percosse, i casi di violenza, i soprusi, l’esistenza di una ”squadretta punitiva” mi sono stati raccontati da diversi detenuti ed ex detenuti, in diversi momenti e contesti. Ho cercato di portare fuori dal carcere questi racconti, chiedendo che se ne accertasse la veridicità e che se ne chiarissero i contorni, e tre mesi fa ho chiesto formalmente al Ministro Bonafede un incontro in cui poter riferire quanto avevo visto e ascoltato, senza tuttavia ricevere alcuna risposta».

Per l’esponente del Partito Radicale Rita Bernardini, si tratta di una «notizia clamorosa» soprattutto in relazione al 41bis e denuncia: «Qui in Italia governo e Parlamento non fanno nulla» mostrando l’incremento dei detenuti dal 2016 nonostante la sentenza Torreggiani nel 2013 avesse condannato il nostro Paese per la violazione dell’articolo 3 della Cedu, concernente trattamenti inumani o degradanti subiti da sette persone detenute per molti mesi nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza, in celle triple e con meno di quattro metri quadrati a testa a disposizione.

Per Patrizio Gonnella, Presidente di Antigone, «la spinta riformatrice post sentenza Torreggiani si è fermata e questo ha prodotto e sta producendo un peggioramento delle condizioni di detenzione, con situazioni gravi sulle quali chi ha responsabilità politiche dovrebbe intervenire con urgenza».