Parlando di “Consiglio delle ministre” ha scatenato la Real Academia Española della lingua. Poi, tra i mugugni dei reazionari (e qualche scivolone) ha nominato nei dipartimenti esperte nei diritti di genere, lgbti e delle persone di gruppi etnici diversi

La foto di rito del nuovo governo formato dal Psoe e da Unidas Podemos non è una immagine nuova per la Spagna dell’ultimo anno. Pedro Sánchez si era già distinto, nella passata legislatura, per la significativa presenza di donne nel suo esecutivo. Anche per questo Sánchez-bis, primo governo di coalizione dalla fine della dittatura di Franco, si contano 8 ministre e ben 3 donne vicepresidenti, 11 in totale. Non è solo una questione di genere, come si usa dire, o di quote rosa da salvaguardare, nel programma depositato per il nuovo governo c’è proprio un capitolo titolato Politiche femministe, e l’uso del termine femminista, così, senza giri di parole, tedia la destra estrema e non del Paese.

Le reazioni sono iniziate subito, dal giorno del giuramento di fronte al re Felipe VI quando Irene Montero, deputata di Unidas Podemos e ministra di Uguaglianza, ha usato una formula leggermente diversa rispetto alla maggior parte di colleghe e colleghi quando, proprio alla fine, ha detto “Consiglio delle ministre” utilizzando il femminile plurale generico, onnicomprensivo, proprio come provocazione contro l’uso del maschile dominante. Subito la Rae, la Real Academia Española della lingua, ha dichiarato che non è «grammaticalmente accettabile».

La Rae, quella stessa istituzione che non prevede di includere nel Dizionario della lingua spagnola il concetto di violenza di genere, almeno fino al 2026, quando uscirà la nuova edizione, si è scomodata per così poco. Femminismo e grammatica non sembrano proprio andare d’accordo. Quindi il consiglio resta dei ministri, al maschile, ma, altro fatto senza precedenti nella storia spagnola c’è una coppia che occupa due poltrone nell’esecutivo. È proprio quella formata da Pablo Iglesias, segretario di Podemos e ora vicepresidente del Consiglio, e Irene Montero, finora portavoce in parlamento per lo stesso partito e ministra.

Nessuno ha chiesto a Iglesias se può essere al governo pur essendo il partner di Irene Montero o come farà a gestire i tanti impegni politici e la famiglia con i due gemelli Leo, Manuel e la nuova arrivata Aitana, mentre in tanti si sono preoccupati se lei è stata eletta solo grazie al ruolo del suo partner e leader, o come farà adesso a conciliare il lavoro da ministra e la famiglia, perché la cura della famiglia e della prole è cosa solo da donne, si sa.
Irene Montero, ministra di Uguaglianza, è stata anche presa di mira per la mancata nomina di uomini a posizioni di alto livello nel suo ministero. Attualmente non ci sono maschi in ruoli apicali, vero, ma, come lei stessa ha fatto notare nel corso di una intervista televisiva, forse è poco importante perché l’uguaglianza è qualcosa «a cui le donne hanno tradizionalmente dedicato più tempo e più studio».

La nuova ministra di Uguaglianza ha fatto scelte importanti nel campo dei diritti. Ha designato alla guida dell’Istituto delle donne, istituzione spagnola con un certo riconoscimento tra i movimenti femministi, Beatriz Gimeno, femminista e attivista per i diritti LGTBIQ+, scrittrice, deputata di Unidas Podemos. Mentre la storica attivista Boti García, sarà la direttora dell’area di nuova creazione Diversità Sessuale e LGTBI, perché la diversità sessuale, di genere e familiare saranno argomenti rilevanti nell’agenda politica del Sánchez-bis, con buona pace delle destre tutte.

Poi si è trattato di scegliere chi potesse dirigere un dipartimento governativo legato alle persone razzializzate e non è stata scelta una persona nera, araba, zingara o asiatica, comunità presenti e attive nella società spagnola. La prima nomina per la direzione generale di Uguaglianza di trattamento e diversità etnico razziale è stata la ricercatrice e scrittrice Alba González, con il curriculum giusto, una grande esperienza di questioni come la ridistribuzione economica o l’uguaglianza, ma bianca. Nomina e successive, rapide dimissioni dopo le pressioni di collettivi e associazioni antirazziste.

Un passo indietro e una rettifica nelle reti sociali: «Se c’è una cosa che sappiamo nel femminismo è che la rappresentazione e il simbolico contano. Abbiamo riorganizzato l’équipe di questo ministero in modo che ci sia una presenza visibile di donne appartenenti a gruppi razziali».
Saggia rettifica con il risultato che ora è Rita Bosaho, di nazionalità spagnola, ma nata in Guinea Equatoriale, prima donna nera eletta al Congresso dei deputati nel 2016 con Podemos, ad occupare quella posizione.
Con il progetto di chiudere tutti i Centri di internamento per stranieri (Cies), e di legalizzare tutti gli immigrati che arrivano in Spagna.

È politicamente scorretto che nessuno nel ministero di Uguaglianza guidato da Irene Montero si sia reso conto di quello che stava per fare. La verità è che non sorprende. Il movimento antirazzista e le associazioni di persone afrodiscendenti questa volta hanno agito come una comunità e così hanno messo a segno una prima grande vittoria politica come gruppo di pressione, modificando l’agire delle istituzioni,dimostrando che quando esiste una dialettica tra governi e movimenti è sempre un bene.