Il caso vergognoso dei rimpatri forzosi imposti a cittadini maliani dalle Canarie attraverso la Mauritania

El País, il giornale spagnolo, bacchetta l’Italia e scrive: «… ha rinnovato automaticamente il controverso accordo firmato tre anni fa con la Libia per fermare i flussi migratori sulla rotta del Mediterraneo centrale, la più pericolosa per l’Europa. Il patto mette il salvataggio degli immigrati in mare nelle mani del caotico Paese del Maghreb e della sua guardia costiera, ripetutamente accusati di violare i diritti umani. Nel corso degli anni, questo accordo bilaterale ha permesso ai migranti di essere confinati nei centri di detenzione in Libia, dove sono state denunciate torture e ogni tipo di violenza, purché non arrivassero in Italia».

Continua citando i dati dell’Organizzazione mondiale per le migrazioni sul numero dei migranti intercettati in mare e rispediti dall’Italia ai lager libici. Riporta le parole della vice ministra degli esteri Marina Sereni che sproloquia sui margini di manovra possibili per cambiare l’accordo già reiterato. Menziona le proteste di Ong e associazioni umanitarie, citando Amnesty International che denuncia quello che tutti sanno: «Il rinnovo dell’accordo sulle migrazioni conferma la complicità dell’Italia nella tortura di migranti e rifugiati».

Tutto giusto e glorioso, ma dissonante con le politiche migratorie in atto in questi ultimi mesi in Spagna, Paese che, in merito alle persone espulse in barba alle regole, dimostra di sapere il fatto suo. Cear Canarias, la Commissione spagnola di aiuto al rifugiato che opera alle Canarie condanna il rimpatrio forzoso di cittadini maliani in Mauritania. In Mali, nell’Africa occidentale, si vive una situazione di conflitto ben nota: il gruppo Stato Islamico (Is) sta cercando di collocare nella zona un suo califfato. Le Canarie, arcipelago nell’oceano Atlantico, con le isole di Fuerteventura e Lanzarote proprio dirimpetto all’Africa occidentale, sono diventate meta dei nuovi flussi migratori.

Per evitare la Libia o il controllo, in aumento, delle frontiere esercitato dalle autorità marocchine, dalla costa atlantica del Marocco, da Mauritania, Mali, Senegal e Gambia, per approdare dal deserto in Europa, la rotta è cambiata. Così gli arrivi nelle Canarie sono aumentati di oltre il 100% rispetto al 2018, mentre sul resto delle coste spagnole si sono dimezzati e continuano a diminuire. Una tratta meno costosa, si parla di 500 euro al massimo, ma non meno pericolosa, sono solo 80 miglie nautiche, ma affrontate con imbarcazioni inadeguate alle correnti e alle onde oceaniche. In uno di questi viaggi, proprio all’inizio di febbraio, delle 41 persone a bordo, 15 erano donne, 3 di loro incinte, e 19 i minori. Lungo la traversata una delle donne ha partorito e poi il neonato è morto a bordo, un’altra ha abortito appena sbarcata.

Il trasferimento di alcuni dei migranti nella Spagna peninsulare darebbe sollievo alle isole, ma l’idea di offrire un passaggio sicuro a queste persone, non è gradita. Questi trasferimenti potrebbero essere interpretati come un’attrazione per utilizzare la rotta verso le Canarie e causerebbero disagio in partner come la Francia, principale destinazione dei migranti che arrivano in Spagna. Quindi meglio rispolverare un vecchio accordo firmato con la Mauritania e rispedire lì quanti più migranti possibile.

Nelle ultime due settimane due voli sono partiti proprio dalle isole Canarie, con più di un centinaio di persone, la maggior parte delle quali maliane, che sono state così deportate, ignorando la possibilità di asilo politico. Il trucco è tutto qui, la Spagna non sta espellendo cittadini maliani verso il proprio Paese in guerra, è la Mauritania che lo sta facendo attraverso i rimpatriati dal territorio spagnolo, compromettendo la sicurezza dei migranti che hanno investito i loro risparmi e rischiato la vita per raggiungere la Spagna, Paese con una legge che dovrebbe garantire loro assistenza legale, un interprete, la possibilità di chiedere asilo. E, anche se hanno avuto l’opportunità di chiedere protezione internazionale e non l’hanno fatto, la loro vita non può essere messa a rischio dalla deportazione in un Paese terzo nella consapevolezza che la loro destinazione finale sarà un Paese in guerra.