Non solo lotte di genere. Ma anche per i diritti dei migranti, per il Green new deal, contro le disuguaglianze e per un’adeguata tassazione delle aziende multinazionali. Ecco le proposte di Elly Schlein per una nuova sinistra

Si è fatta le ossa come volontaria del team elettorale di Obama ed è stata la giovane battagliera di Occupy Pd. Ma soprattutto Elly Schlein è stata una eurodeputata fortemente impegnata nella difesa dei diritti umani, per politiche dell’immigrazione dal volto umano e per la revisione del trattato di Dublino. All’indomani delle elezioni regionali l’abbiamo incontrata per farci raccontare l’exploit di Emilia Romagna coraggiosa ma anche e soprattutto per parlare di un modo nuovo di fare politica a sinistra che viene soprattutto dalle donne, capaci di mettere insieme battaglie di genere, diritti dei migranti, nuova sensibilità ambientale e una decisa lotta alle disuguaglianze.

La nuova sinistra, se vuol riprendere forza per cambiare davvero le cose, non può che essere femminista, ecologista e attenta ai diritti umani, sostiene Elly Schlein. Proprio da questo ultimo delicato tema vogliamo partire per continuare a tenere desta l’attenzione sul caso accaduto nel Cpr di Gradisca d’Isonzo, dove ha perso la vita il giovane georgiano Vakhtang Enukidze, che vi era recluso senza aver commesso alcun reato (vedi Left n. 5/2020). Per Enukidze si è parlato di un nuovo caso Cucchi. Se sei affidato alle mani dello Stato l’incolumità e il soccorso devono essere garantiti. «Quello che è accaduto a gravissimo. Non si può più parlare di casi singoli e isolati – commenta Schlein -. Le autorità devono fare chiarezza su quanto accaduto. Ricordo peraltro che è già successo. Anni fa in quel centro era morta un’altra persona».

Come parlamentare europea hai visitato tanti centri di detenzione amministrativa in Italia, che situazioni hai trovato?
Troppo spesso ho visto diritti negati, calpestati, ho incontrato persone senza un adeguato accesso alle strutture sanitarie e alle visite mediche, senza un adeguato supporto legale e psicologico. Dostoevskij diceva che il grado di civiltà di un Paese si misura da come vengono trattate le persone in carcere. In questo caso io non me la sentirei di chiamarli centri di accoglienza perché sono a tutti gli effetti luoghi di detenzione. E sono un monumento alla…

L’intervista prosegue su Left in edicola dal 7 febbraio

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