Riparte mercoledì 12 febbraio alle 23.30 su Canale Nove una trasmissione televisiva in cui si cerca di affrontare il tema della fake news. Dopo una fortunata prima stagione, gli autori, in primis la conduttrice Valentina Petrini, ne parlano con entusiasmo. Il format di “Fake, la fabbrica delle notizie”, questo è il titolo del programma, è semplice e immediato con giornalisti in studio di diverse testate e un tema portante in cui si prova a entrare nella complessità dell’argomento smontando semplificazioni, costruzioni narrative nate in assenza di fonti concrete. Nella realizzazione del programma c’è una attenzione quasi maniacale nell’uso del linguaggio e da questo partiamo per parlarne con la conduttrice che spesso ci segue.
«Si è un problema che ci siamo posti sin dall’inizio. Il nostro è un canale di nicchia ma nella trasmissione vogliamo rendere la stessa fruibilità che ha la rete. Il nostro obiettivo è far si che anche mia madre possa comprendere quello che diciamo, quali sono le fonti che utilizziamo. Io sono di Taranto e anche per questo ho una particolare attenzione per i discorsi legati al cambiamento climatico. La nostra squadra, che è molto giovane, sta lavorando sul tema partendo dal grande lavoro che si fa in Gran Bretagna su questo argomento. Siamo consapevoli che c’è uno scollamento terribile fra le persone e l’informazione, soprattutto quella mainstream, dobbiamo conquistarci la fiducia anche studiando, spaccandosi la testa, cercare nelle fonti più disparate accettando il terreno della complessità ma poi schierandoci. Giornalisti come David Puente garantisce un alto livello di professionalità, Matteo Flora, professore a contratto in “Corporate Reputation e Storytelling” e hacker contribuisce a spiegare i sistemi di analisi dell’intelligenza artificiale. Lui studia anche dal punto di vista tecnico e scientifico il funzionamento propagandistico della “bestia” di Salvini. Ma abbiamo anche reso stabile una parte di satira con Enrico Bertolino che peraltro sta portando in giro in Italia uno spettacolo teatrale dedicato alle “bufale”. E sta avendo molto successo».
Occupandomi soprattutto di immigrazione sembra che le “fake” sovrastino anche il racconto banale della realtà, che invece è molto meno preoccupante.
«La “banalità” della realtà è fuori moda. L’informazione oggi deve convincere che la realtà è di difficile comprensione. Sull’immigrazione è ancora più dura, come sai è un tema di cui mi occupo da tanto tempo e si fa fatica a rompere certi meccanismi. Anche quando si racconta delle torture nei centri libici ormai appurate, prevale la diffidenza, c’è ancora chi pensa che si esageri, che forse non è vero. Noi dobbiamo lavorare per acquisire fiducia raccontando tutta la verità, non solo una parte. Nella scorsa stagione abbiamo raccontato le bufale razziste ma oggi vogliamo anche dire della finta sassaiola contro i cinesi a Frosinone. Non è stata la comunità cinese a denunciarla ma quando si è scoperto che la notizia era falsa si è prodotto un danno enorme. In passato abbiamo parlato ad esempio dei messaggi di minaccia giunti alla senatrice Segre. Chi ha sparato la cifra di 200 messaggi di odio al giorno ha danneggiato la sua e la nostra causa. Sia ben chiaro, anche un solo messaggio è pericoloso ma è nostro compito verificare la realtà, non riportare la prima notizia che ci arriva. Per tornare alla realtà dobbiamo raccontare tutto senza peccare di “buonismo”».
Ritorna il tema della verifica delle fonti
«Sì dobbiamo spiegare anche come si fa a cercare le fonti. In passato ho avuto esperienze bellissime in alcune scuole con i ragazzi. Adolescenti che non guardano la tv, non sanno cosa sia il “Grande fratello” e cercano le fonti in tutto il mondo. Dovremmo piantarla di produrre contenuti solo per noi e parlare agli adolescenti raccontandoli e pensando a loro come fruitori. Spesso li raccontiamo in maniera macchiettistica mentre loro lavorano sulle sfumature, conoscono l’inglese, sono youtuber, affrontano temi con cui non ci siamo mai confrontati. Per questo ad esempio ci stiamo dotando di mediatori cinesi che ci raccontano quanto accade in tempo reale, stiamo cercando di farlo anche con colleghi russi anche se lì è più complesso. Non possiamo confinarci in casa nostra ma costruire una rete internazionale che allarghi continuamente i confini. L’informazione è come il mondo, non può conoscere e incontrare barriere. La rete insegna questo ed è la ragione per cui non la demonizziamo, anzi. Mi permetto di dire che la rete per certi versi è più sana dell’informazione mainstream, è il luogo in cui circolano milioni di bufale ma anche quello in cui si possono far partire mobilitazioni agendo dal basso. Ed è anche il luogo in cui le bufale possono essere smentite e smontate. Per questo mi è sembrato poco adatta una commissione parlamentare di inchiesta sulla rete. Significa affrontare con strumenti vecchi e approcci vecchi una situazione nuova. Non possiamo proporre staticità in un contesto che vede la velocità della circolazione di informazioni come opportunità per produrre anche verità e cambiamento».
Su cosa vi concentrerete nella stagione che inizia oggi?
«Alcuni temi saranno ancora presenti spesso come quelli riguardanti il cambiamento climatico. Non ci si può dividere in “negazionisti” e non. Noi abbiamo fatto una scelta e vogliamo dare voce ai tanti esperti sul tema (il 99%) che è allarmato ma anche cercare discutere con chi nega i problemi. C’è un dibattito forte portato avanti da movimenti come Extinction Rebellion che è molto proiettato in avanti. Continueremo a parlare di odio e razzismo indipendentemente dal fatto che secondo numerosi sondaggi il fenomeno è in crescita. Anche se riguardasse poche persone a negare l’Olocausto per noi sarebbe un problema. Da ultimo – e parlo da donna che a breve diventerà madre – vorrei parlare della gestione delle informazioni in campo medico rispetto alla maternità. Anche nei corsi di preparazione al parto circolano fake news ed è difficile reperire notizie “laiche” in materia. Chi non ha strumenti sufficienti rischia di non capirci nulla e di vivere anche la maternità come un momento difficile e incomprensibile. Con chi lavora come voi di Left ci sentiamo affini perché cerchiamo anche da ambiti diversi di raccontare quello che avviene realmente in questi e in tanti altri temi. Dobbiamo fare squadra e trovare modo di incontrarci presto».