Ho appena aderito al “Coordinamento per la democrazia costituzionale per il No del referendum sulle modifiche alla Costituzione sulla riduzione del numero dei Parlamentari” presieduto dal professor Massimo Villone, ordinario di diritto costituzionale presso l’Università di Napoli. L’ho fatto perché credo siamo chiamati ancora una volta a scegliere tra democrazia parlamentare e sistema oligarchico. In fondo, mi guidano le stesse motivazioni che mi spinsero a votare No al referendum del 4 dicembre del 2016.
Come dico sempre ai miei studenti, ribadisco al lettore che l’elemento più importante della Carta Costituzionale, è la spinta unitaria verso tutti i Costituenti dell’epoca. Si unirono tutti attorno al valore sacro della persona umana. L’individuo finalmente inteso non più come mezzo ma come fine primario dell’ordinamento giuridico e sociale. Si tracciò così una visione della persona non più statica ma dinamica, poiché titolare di diritti e di doveri, diretta allo sviluppo, non solo economico ma sociale e culturale. La persona, però, non può realizzarsi completamente se non in condizione di libertà indissolubilmente connessa al concetto di uguaglianza.
Entrata in vigore il 1° gennaio 1948, a tre anni dalla Liberazione della Nazione e dalla fine della seconda guerra mondiale, è, a mio avviso ancor oggi, una delle più avanzate del mondo, soprattutto perché è costruita in modo da non limitarsi a elencare i diritti, ma dare indicazioni per la loro effettività e per la loro attuazione. Piero Calamandrei nel suo famoso discorso agli studenti nel 1955 rimarcò come la Costituzione non fosse una macchina che una volta messa in moto andava avanti da sé. «La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica».
Nella nostra Costituzione c’è la nostra storia, il nostro passato, i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre gioie. Al suo interno ci sono anche valori intrinseci, non sempre esplicitamente dichiarati, ma chiaramente desumibili: la persona, il lavoro, la dignità, la libertà e l’uguaglianza, la democrazia, l’etica, la legalità; non dimenticando, peraltro, che nella schiera dei valori vanno considerati anche i doveri e tra di essi emergono principalmente la solidarietà e la partecipazione attiva.
Quando all’art. 1 si scrive che l’Italia è una “Repubblica democratica”, si dichiara una scelta e si evidenzia un valore: la democrazia. Da cittadino ritengo che la democrazia sia il governo di molti e non di pochi. La democrazia esprime partecipazione e legame stretto tra elettore ed eletto. La democrazia è il governo del popolo. La nostra si qualifica come parlamentare (che vuol dire strutturata attorno ad un Parlamento che esercita il potere legislativo), ma non esclude, e anzi esplicitamente prevede anche forme di partecipazione diretta dei cittadini (l’iniziativa popolare delle leggi, il diritto di petizione, il referendum e così via).
La democrazia è l’humus necessario della convivenza civile. Un valore che noi cittadini abbiamo l’obbligo morale e materiale di proteggere e tutelare contro ogni attacco e contro ogni rischio, soprattutto in un Paese che ha vissuto la dittatura. Il valore della partecipazione attiva è fondamentale. Pericle nel suo discorso agli ateniesi già nel 431 a.C. affermava: «Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore».
Pericle ci insegna che il cittadino, non solo deve esercitare la sovranità popolare partecipando alle elezioni (quali che siano le sue scelte), ma poi deve chiedere conto ai suoi “delegati” di ciò che fanno nell’interesse comune, deve far sentire la propria voce, partecipare al dibattito pubblico sulle questioni di fondo, indignarsi per le cose che non vanno, svolgere azioni concrete di controllo sul bene comune. Questa è la cittadinanza attiva che, alla fine, è il valore più rilevante di ogni altro, non solo perché è il sale della democrazia, ma anche, e soprattutto, perché è la maggior garanzia del rispetto e dell’attuazione di tutti gli altri valori costituzionali. Il distacco, l’indifferenza, non appartengono alla democrazia e non la qualificano; non valorizzano la persona e non ne esaltano la dignità.
L’invito che implicitamente ci rivolge la Carta Costituzionale è di essere cittadini partecipi e consapevoli. Per questo, bisogna conoscere la Costituzione, approfondirne le norme specifiche ed i principi, estrarre consapevolmente i valori che essa emana e farli vivere nelle istituzioni, nella politica, nella società, ed anche nei comportamenti quotidiani, convincendosi che anche nei momenti difficili sta nella Costituzione e nei suoi valori, l’unica e vera prospettiva di rinnovamento e di riscatto. Ma soprattutto bisogna amarla, questa Costituzione: è la base e il fondamento della nostra convivenza civile per la quale in tanti hanno sacrificato la loro vita.
Sono profondamente convinto che il prossimo 29 marzo con il nostro voto saremo chiamati a decidere non tanto se vogliamo la Costituzione del ’48 per il suo prestigio e il suo valore simbolico, ma dobbiamo optare tra democrazia parlamentare e sistema oligarchico. Questo referendum verterà sul carattere centralistico, oppure pluralistico e partecipativo della nostra democrazia. La nostra Costituzione è stata concepita per unire non per dividere: è questa la sua essenza rivoluzionaria. La riforma proposta si caratterizza, sin dal metodo, come una Costituzione che non unisce ma, di fatto, divide. L’attuale Costituzione è nata dal consenso unanime di quasi tutti i partiti politici dell’epoca e per questo ha in sé ha un enorme valore aggregante e democratico. Una Costituzione che legittimerebbe una oligarchia sarà giocoforza regressiva e non avrà più il prestigio, il valore che deve avere la Costituzione in un sistema democratico solidaristico-sociale.
In questi anni è stato smantellato lo Stato sociale, è stato distrutto il diritto del lavoro, la sanità non più solidale e gratuita perché si è economizzata e pesa sulle spalle soprattutto dei più poveri. Lo smantellamento di tutti questi diritti è possibile solo se prima di tutto si smobilita la società, e cioè si indeboliscono i partiti, e i cittadini sono ridotti a spettatori davanti alle televisioni a guardare gli scontri fra i politici, che naturalmente si scontrano su questioni secondarie. Ciò che viene perseguito è prima di tutto la neutralizzazione del controllo dal basso, del radicamento sociale, e in secondo luogo la neutralizzazione dei limiti e dei vincoli dall’alto, e cioè da parte delle Costituzioni, perché le Costituzioni sono ormai scomparse dall’orizzonte della politica.
Con questa riforma il Parlamento conterà sempre di meno, sarà per l’appunto una maggioranza di parlamentari, fortemente vincolati da chi deciderà della loro successiva elezione, a causa anche della disarticolazione sociale dei partiti, della loro neutralizzazione come fonti di legittimazione titolari delle funzioni di indirizzo politico, di controllo e di responsabilizzazione. Il nostro voto è una scelta o a favore della democrazia pluralistica costituzionale oppure a favore di un’involuzione personalistica e autocratica del sistema politico. Per tutti questi motivi all’interno della cabina elettorale occorre meditare e riflettere profondamente sul nostro prossimo futuro prima di votare per il Sì o per il No.
Io voterò convintamente No essenzialmente per tre ragioni. La prima: con la attuale legge elettorale e con listini bloccati e candidati nominati, i nuovi parlamentari saranno tutti indicati dalle segreterie di partito, sottraendo di fatto al popolo sovrano totalmente il diritto di scegliersi i suoi rappresentanti. Deputati e senatori risponderanno al segretario del partito e non più agli elettori. La seconda: con questa riforma la rappresentanza politica sarà concentrata nelle aree più popolose del Paese, a scapito di quelle con meno abitanti ma territorialmente più vaste, ed inoltre non tutela in modo adeguato le minoranze linguistiche. La terza: eletto ed elettore, non avranno più legami e ciò favorirà ancor di più il distacco dei cittadini dalla politica, ampliando l’astensionismo e il disinteresse nei confronti delle pubbliche Istituzioni, soprattutto del Parlamento, l’unico luogo dove il cittadino dovrebbe vedersi democraticamente rappresentato. Un Parlamento con meno eletti, per giunta nominati, creerà di fatto una nuova cerchia ristretta di potenti.
Vincenzo Musacchio è un giurista