Serve una riflessione su quello che ha significato il Modello Roma, sul rapporto fra centro-sinistra e rendita immobiliare, sull’abbandono delle periferie e degli ultimi, sui processi di privatizzazione, sulla svendita dei beni pubblici

Come ormai capita da almeno un quindicennio, anche in questa circostanza, all’approssimarsi delle elezioni amministrative a Roma, che si dovrebbero tenere tra un anno, sta scattando il meccanismo del voto utile. Non che lo si evochi ancora in modo esplicito, ma la costruzione delle alleanze nell’alveo del centro-sinistra sta già prefigurando uno “stringiamoci a coorte” contro i nuovi barbari, siano essi le temibili schiere celtiche di Matteo Salvini o i foschi manipoli indigeni di Giorgia Meloni.

Se fosse la prima volta, potremmo dissentire, ma comprenderemmo lo spirito da redde rationem. Ci troviamo invece di fronte a una malsana coazione a ripetere, laddove gli errori del passato, che hanno coinvolto la gran parte della componente progressista e di sinistra, vengono semplicemente rimossi, pronti a essere replicati in caso di vittoria elettorale. Non una riflessione su quello che ha significato il Modello Roma, sul rapporto fra centro-sinistra e rendita immobiliare, sull’abbandono delle periferie e degli ultimi, sui processi di privatizzazione, sulla svendita dei beni pubblici, sull’incapacità di proporre un modello istituzionale per Roma Capitale e per i suoi Municipi, sull’assenza totale di un’idea di servizio pubblico (trasporti, rifiuti, partecipate), sull’incapacità di proporre assi di sviluppo innovativi per la città e, quindi, di creare lavoro e redistribuire risorse. Ed è proprio sulla mancanza di ripensamenti critici, sulle omissioni e sulle rimozioni, che diventa poi fisiologico schierarsi muti e acefali come sia e purché sia. Per rifare gli stessi errori.

Ma oltre a essere discutibile e pernicioso, tale approccio rinuncia a leggere l’attuale realtà romana, riproponendo proprio quei modelli politici che l’hanno indebolita e disumanizzata. Per distruggere una casa (la sinistra), occorrono pochi giorni. Per ricostruirla, sono necessari tempi infinitamente più lunghi. Ed è proprio su questo cimento che le forze in campo si dovrebbero misurare, nella consapevolezza che per rimettere in campo una soggettività che sia in grado di dare risposte alle crescenti disuguaglianze, occorrono tempo (un progetto di lungo periodo), una visione alta della città, una pratica quotidiana nel territori. Né possiamo cavarcela immaginando di camuffare dietro un indefinito civismo le dinamiche politiciste che ingombrano da tempo le nostre discussioni.

Quello che appare chiaro è che i partiti oggi non sono in grado di rispondere a questa esigenza e che probabilmente l’unica via percorribile è quella di guardare alle tante realtà che attraverso le reti, il mutualismo sociale, l’attivismo nei settori più diversi, animano la nostra città. Non che ci si debba aspettare un approccio taumaturgico, anzi, spesso quelle stesse realtà tendono a rinchiudersi in un soggettivismo asfittico, anelando non di rado a una relazione con le istituzioni subalterna e utilitaristica. Ma la via sociale alla costruzione di una nuova soggettività politica, pare l’unica via percorribile.

Come uscirne dunque? Complessa la risposta, anche perché le variabili in campo sono molteplici, a partire dal proliferare di un approccio individualistico ai temi di cui stiamo parlando. Paradossalmente, oggi sarebbero necessari requisiti che appartengano a pieno titolo alle categorie della politica, sebbene felicemente la sentimentalizzino: generosità, disponibilità a mettersi a mettersi al servizio di un progetto comune, visione di lungo periodo. E, soprattutto, una nuova classe dirigente. Ciascuno di noi reca con sé questo fardello e questa responsabilità, ossia praticare la politica nei luoghi da cui essa è stata scacciata. Un po’ come diceva Calamandrei sui luoghi dove è nata la Costituzione, ossia quelli della Resistenza. E da questo partire per costruire insieme una città più giusta, meno diseguale.

Ci sono molte soggettività che condividono tale aspirazione: manca ancora un progetto che assieme bisogna costruire. Invertendo il senso del Montale degli Ossi di Seppia, verrebbe da dire: codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che siamo, ciò che vogliamo.

Roberto Giordano è uno degli autori del libro collettivo “Povera Roma. Sguardi, carezze e graffi”, pubblicato da Left. È un racconto corale di attivisti, associazioni, comitati, urbanisti, a testimonianza di un tessuto sociale e culturale vivace che lotta per difendere i diritti e si mobilita per una città giusta e accogliente.

Il libro “Povera Roma” qui