È passato un anno dalla morte di Lorenzo “Orso” Orsetti in Rojava mentre combatteva con le milizie curde contro l'Isis. Lo ricordiamo con suo padre Alessandro

Il 18 marzo 2019 Lorenzo Orsetti, un ragazzo di 33 anni originario di Firenze, ha perso la vita mentre combatteva contro i miliziani dell’Isis asserragliati nella roccaforte di Baghouz , nel sud-est della Siria. Orso – così lo chiamavano i suoi amici – aveva lasciato l’Italia un anno e mezzo prima per unirsi alla rivoluzione curda e combattere in prima linea in difesa di quegli ideali su cui si fonda la Confederazione democratica del Rojava.

La morte di Lorenzo aveva riacceso l’attenzione su ciò che stava accadendo in quella parte di mondo e sulla lotta che le milizie curdo-arabe delle Ypg e delle Ypj (le Unità di protezione del popolo maschili e femminili) conducevano da tempo contro lo Stato islamico, che proprio in Siria – e in Iraq – aveva eretto il suo Califfato. Pochi giorni dopo la scomparsa di Orso, i curdi hanno liberato gli ultimi villaggi in mano ai jihadisti e dichiarato sconfitto l’Isis, almeno nella sua versione statuale.

A un anno dalla morte di Lorenzo, però, la situazione in Rojava è molto cambiata: la Turchia ha invaso la Siria del nord-est, la minaccia jihadista è tornata a farsi sentire e gli attacchi contro i curdi e la loro rivoluzione proseguono senza sosta. “L’impegno di mio figlio però non è stato vano. Ha dato tutto sé stesso per quello in cui credeva e ha dimostrato che tutti noi possiamo fare qualcosa per cambiare la realtà in cui viviamo”. A parlare è Alessandro Orsetti, padre del giovane combattente fiorentino. “Lorenzo è diventato un modello di riferimento per chi vuole un mondo migliore. In tanti ancora lo ricordano e hanno fatto proprie le sue parole”.

In occasione del primo anniversario della morte, diversi eventi erano stati organizzati nella città di Firenze, ma l’emergenza coronavirus ha costretto la famiglia a rimandare il tutto a data da destinarsi. “Non abbiamo cancellato l’iniziativa, l’abbiamo solo posticipata in attesa di capire come evolverà la situazione. Tanti artisti si sono offerti per partecipare agli eventi che avevamo organizzato con il sostegno della comunità curda in Italia, dei compagni e di tutti coloro che vogliono ricordare nostro figlio”. In tanti infatti hanno manifestato la propria vicinanza alla famiglia Orsetti, segno che a distanza di un anno il ricordo di Lorenzo è ancora vivo. “Questa solidarietà e questa vicinanza ci commuovono”.

In attesa di poter tornare alla normalità, la famiglia ha lanciato una raccolta fondi per un ecografo 3D da inviare in Rojava ed è stato anche organizzato un flash mob per il pomeriggio del 18 marzo. “Chi vorrà alle 18 potrà cantare o suonare Bella Ciao dalla finestra o leggere le parole di Lorenzo”. Per l’occasione è stato anche lanciato l’hashtah #orso18m.

Ma se le scelte di Lorenzo e la sua morte hanno lasciato un segno nella società, lo stesso non si può dire per il mondo politico, né a livello locale né tanto meno nazionale. “Il Comune di Firenze ci è stato vicino, ma stiamo ancora aspettando che intitolino una strada a nostro figlio come ci era stato promesso. Ad oggi non sono stati fatti passi in avanti perché, stando a quanto ci dicono, non è possibile cambiare così facilmente la toponomastica della città. Quello che ci hanno offerto in alternativa è di intitolargli un giardino o un altro spazio pubblico, ma basterebbe poco per cambiare nuovamente nome a questi luoghi. Per questo continuiamo a insistere per la strada”.

Le critiche di Alessandro Orsetti non si limitano solo all’amministrazione comunale. “La politica italiana non ha compreso Lorenzo né i suoi ideali, come dimostra l’indifferenza del nostro Governo nei confronti di ciò che sta accadendo oggi in Siria. L’Italia – e non solo – ha voltato le spalle ai curdi per perseguire i propri interessi”.

Solo pochi mesi fa, infatti, le forze del Rojava hanno dovuto fare i conti con l’ennesima operazione militare della Turchia contro il Nord-est della Siria: a nulla sono valsi i tentativi della diplomazia internazionale di fermare il presidente turco e i curdi sono stati costretti a rinunciare a una parte del loro territorio per evitare ulteriori morti. “In tanti hanno criticato il ricorso alle armi dei curdi affermando che la via da percorrere doveva essere quella della diplomazia, ma come abbiamo visto di recente quest’ultima non sempre funziona. Ciò non vuol dire giustificare la violenza, ma giudicare le scelte che vengono prese in base al loro contesto”.

Proprio il ricorso alle armi è stato uno degli argomenti usati il 17 marzo dalla pm Emanuela Pedrotta per dichiarare Eddi Marcucci, anche lei ex combattente nelle fila delle Ypj, un “pericolo per la società” e sottoporla quindi alla sorveglianza speciale. “Provo molto dispiacere per quanto accaduto. È evidente che c’è una parte dell’Italia che non ha ben capito il percorso che questi ragazzi hanno fatto in Rojava, né le istanze che portano avanti”.

Per tanti altri invece la scelta di chi è andato in Siria per difendere la rivoluzione del Rojava ha un significato profondo, così come lo hanno le ultime parole di Lorenzo. “I suoi pensieri sono validi sempre, anche adesso che dobbiamo affrontare l’emergenza coronavirus. Ho visto tante persone chiudersi in sé stesse, quando invece è proprio questo il momento di mettere da parte l’egoismo e aiutare gli altri”. Come diceva Orso nel suo testamento, solo sconfiggendo l’individualismo e l’egoismo in ciascuno di noi si può fare la differenza.