Carmelo Musumeci è uno scrittore, esponente della letteratura sociale carceraria. Iniziò prestissimo la sua carriera criminale e nel 1991 venne arrestato con l’accusa di omicidio. Condannato all’ergastolo – fu il primo in Italia a dover scontare un ergastolo ostativo (cioè fine pena mai, senza godere di permessi o altri benefici ndr) – è stato scarcerato nel 2018 con la liberazione condizionale nonostante appunto il carattere ostativo della condanna.
Enrico (Chico) Forti è un ex velista e produttore televisivo italiano, condannato all’ergastolo nel 2000 per l’omicidio di Dale Pike a Miami, ma si è sempre dichiarato vittima di un errore giudiziario. È attualmente detenuto al Dade Correctional Institution di Florida City. Musumeci e Forti, due facce della stessa medaglia. Un ergastolano come vede un ergastolano? Ne parliamo con Carmelo Musumeci.
«Meglio lasciare impunito un colpevole che condannare un innocente». Cosa ne pensa di questa frase di Voltaire?
La condivido. Sembra incredibile che la maggioranza dei detenuti si dichiari innocente e qualcuno storca il naso. Eppure, i dati e i numeri ci confermano che molte delle persone che vengono arrestate, in seguito sono ritenute innocenti. Si può essere condannati e mandati in carcere per tanti motivi: per scelte di vita sbagliate, per difetti caratteriali, per cattiveria, per sopravvivenza, per amore, per ignoranza, per solidarietà, per ingiustizia sociale, per depressione, e per tante altre cose che abitano l’animo umano, ma si può andare in carcere anche per essere colpevoli di essere innocenti.
Si è fatto una sua idea a proposito della situazione di Enrico Forti?
Documentandomi mi sto convincendo sempre di più che Enrico sia innocente. Succede, e non tanto raramente, che delle persone siano tenute ingiustamente per anni dietro le sbarre, e poi, se usciranno, ci si limiterà a chiedere scusa, e a dire: ci siamo sbagliati. Ricordo il caso di Omar nell’omicidio di Ilaria Alpi, il caso Gullotta e tantissimi altri innocenti che scontano una pena ingiusta. Una condanna all’ergastolo da colpevole è una pena terribile, ma se la si sconta da innocente è un orrore.
Lei è in carcere da “colpevole” (parola questa che nei suoi libri viene spesso analizzata). Se lei fosse stato innocente in che modo avrebbe vissuto la situazione nella quale è stato ed è adesso?
Né più né meno di come ho fatto da colpevole.
Oltre alla condanna e ovviamente all’esperienza carceraria lei e Chico siete accomunati anche dal fatto che le vostre vicende sono state trattate da una nota trasmissione televisiva. Quanto è funzionale alla riuscita delle vostre battaglie la diffusione attraverso i media ed il conseguente sostegno della gente?
Per me è stato importantissimo rivolgermi all’opinione pubblica, ma non è stato per nulla facile. Per esempio, in tanti anni di carcere ci hanno provato in molti ad intervistarmi, ma i vari direttori hanno detto sempre di no, sia perché ero un ribelle sociale, sia perché ero un anarchico, sia perché ero un mafioso, spesso perché ero tutte queste tre cose insieme.
Cosa ha da dire a chi dice che il suo ergastolo e quello di Chico non sono paragonabili in quanto lei è palesemente carnefice e per questo condannato e lui palesemente vittima?
Direi che si può essere carnefice e vittima nello stesso tempo. E direi anche si può essere innocenti anche se sei colpevole perché purtroppo spesso chi fa del male lo giustifica, in caso contrario non lo farebbe. Per esempio, credo che il regime di tortura del 41-bis insieme alle pene che non finiscono mai, applicati in modo spropositato, non diano risposte costruttive né tanto meno rieducative. Non si può educare una persona tenendola all’inferno per decenni, senza dirle quando finirà la sua pena. Lasciandola in quella situazione di sospensione e di inerzia la si distrugge e, dopo un simile trattamento, anche il peggiore assassino si sentirà “innocente”, mentre le persone “perbene” rischieranno di essere “colpevoli”.
La scrittura le ha permesso di riscattarsi e di avere l’appoggio di personaggi importanti del panorama intellettuale italiano, come, tra gli altri, Margherita Hack ed Erri De Luca. Quale funzione ha avuto per lei lo scrivere?
In carcere per non affogare devi lottare, devi lottare per qualsiasi cosa … e scrivere per far sentire la tua voce perché la società non è cattiva, semplicemente non sa, dato che i mass media danno spesso notizie ma non fanno informazione. Scrivere mi ha aiutato a sopportare la durezza del carcere e della vita perché ogni persona che mi ha letto mi ha trasmesso un po’ di forza per continuare ad esistere e a resistere. Scrivevo molto anche perché quello era l’unico modo per continuare ad esserci oltre il muro di cinta.
Se in questo momento lei avesse la possibilità di parlare con Chico Forti cosa gli direbbe?
Chico, non ti arrendere, continua a lottare per dimostrare la tua innocenza perché è la migliore delle lotte. Lo so! Siamo morti senza saperlo. I dispensatori di giudizi non vogliono che moriamo subito. Vogliono che crepiamo lentamente. A poco a poco. Piano piano. Vogliono che soffriamo più a lungo possibile, così impariamo la prossima volta a non fare del male. Il problema è che non arriverà mai una prossima volta. Sinceramente in tutti questi anni non ho mai sperato di farcela. Eppure ho continuato a lottare con tutte le mie forze più per debolezza che per coraggio. E sono sopravvissuto. Ho sconfitto il mio destino. Forza anche tu. Non ti arrendere.