Non ho conosciuto personalmente Vittorio Arrigoni. Giusto un rapido saluto e una stretta di mano nella confusione ed eccitazione che regnava tra le oltre 1000 persone che da tanti Paesi erano giunte al Cairo per la Gaza Freedom March, nel dicembre 2009, con l’obiettivo di entrare nella Striscia, da Rafah, per portare solidarietà ad una popolazione sotto assedio e attacchi armati di Israele. Uno tra i più crudeli e distruttivi era stato quello di Piombo fuso, tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009. Vittorio, unico cronista sul campo, lo aveva raccontato nei suoi articoli, precisi nella informazione e appassionati nei toni, su Il manifesto e Peacereporter. Mai avrei pensato che meno di due anni dopo mi sarei ritrovata con centinaia di attivisti/e ad aspettare all’aeroporto di Fiumicino la sua bara, proveniente dal Cairo, dato il netto rifiuto dei genitori di farla passare da Israele. Sequestrato e ucciso a tradimento, fu detto, da giovani palestinesi, salafiti, che avevano in corso uno scontro di potere con Hamas. Di Vik, della sua dolorosamente breve vita, della sua storia di solidarietà e inquietudine, in Palestina e nel mondo, parla questo libro, pubblicato nel 2015 da Round Robin, di cui Left con la editrice romana offre una nuova edizione: un atto di amore, che contribuirà a far conoscere la sua vita, dando corpo alla speranza che Egidia Beretta, la amata mamma di Vittorio, esprime all’inizio: «... Spero che siano i giovani, in particolare, a lasciarsi coinvolgere dalla storia di Vittorio, ad avvincersi e a voler raccogliere il suo testimone...». Nelle graffianti immagini della graphic novel di Stefano Piccoli, conosciamo Vittorio come viaggiatore e narratore, volontario instancabile, attraverso Paesi europei ed africani, tra cui il Congo, poi il Libano... Più volte in Palestina, dal 2002, più volte brutalmente respinto da Israele, ma sempre determinato fino a raggiungere Gaza con la nave Dignity, nel 2008, quando ricevette la cittadinanza onoraria palestinese e si unì all’International Solidarity Movement. Vittorio amava Gaza e ne era riamato, come ci dicono le sue immagini sulle barche con i pescatori, seduto a terra a giocare con quei meravigliosi bambini, di cui Piombo fuso aveva fatto strage e ancor più ne farà l’operazione Margine Protettivo nel 2014. Vittorio, di famiglia di partigiani, considerava la sua origine radice e ragione del suo impegno. Sì, Vittorio era un resistente, schierato dalla parte di una popolazione massacrata e incolpevole, ma che non ha mai smesso di lottare per la sua libertà. Mai schierato da una parte politica, Hamas o Fatah. Sosteneva il nascente movimento “Gaza Youth breaks out” e il loro manifesto per il cambiamento, (Fuck Israel, fuck Hamas, fuck Fatah…) comparso all’inizio del 2011, dopo che in Egitto era scoccata la scintilla delle rivolte arabe. Il suo essere un combattente di pace, senza schieramento partitico, era forse diventato intollerabile per chi nelle armi, nella guerra, in un misero e miserabile potere trova le sue ragioni. I “salafiti” certo, gli autori materiali, due uccisi nello scontro con le milizie di Hamas e due condannati a vita, dopo un processo lento e lungo raccontato da Mirca Garuti, ma anche i mandanti morali, «gli sgherri di questo status quo che si sottraggono alla giudicabilità grazie alla sconcia inerzia della vile comunità internazionale», scrisse Moni Ovadia dopo la sua morte. Le pagine di Guerrilla Radio sono emozionanti. Pensieri d’amore attraversano i ricordi nella seconda parte del libro. Ci parlano di che cosa ha lasciato Vittorio, di che cosa non è morto con lui, donne e uomini che hanno visto in Vittorio un testimone, come spiega bene Barbara Schiavulli, pur non avendolo conosciuto; un attivista dei diritti umani, come ricorda Meri Calvelli che lo ha incontrato tra le macerie di Piombo fuso, e gli ha dedicato il Centro di Scambi culturali VIK, punto di riferimento e di incontro tra giovani creativi, palestinesi e italiani; pensieri di chi ha insegnato il parkour, di chi ha fatto musica hip hop e rap, tra coloro che si sono ritrovati in questa utopia possibile di Vittorio che, come dice Maso Notarianni, era prima di tutto “una persona che voleva cambiare il mondo”... Bello e commovente il ricordo/dedica che un giornalista Filippo Golia dedica all’amico Simone Camilli, reporter ucciso nell’estate del 2014 mentre cercava di filmare il disinnesco di una delle tante bombe inesplose durante Margine Protettivo: Vittorio Arrigoni e Simone Camilli, che Gaza “così avvolgente ed egoista ha voluto entrambi per sé”.  

Non ho conosciuto personalmente Vittorio Arrigoni. Giusto un rapido saluto e una stretta di mano nella confusione ed eccitazione che regnava tra le oltre 1000 persone che da tanti Paesi erano giunte al Cairo per la Gaza Freedom March, nel dicembre 2009, con l’obiettivo di entrare nella Striscia, da Rafah, per portare solidarietà ad una popolazione sotto assedio e attacchi armati di Israele. Uno tra i più crudeli e distruttivi era stato quello di Piombo fuso, tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009. Vittorio, unico cronista sul campo, lo aveva raccontato nei suoi articoli, precisi nella informazione e appassionati nei toni, su Il manifesto e Peacereporter.

Mai avrei pensato che meno di due anni dopo mi sarei ritrovata con centinaia di attivisti/e ad aspettare all’aeroporto di Fiumicino la sua bara, proveniente dal Cairo, dato il netto rifiuto dei genitori di farla passare da Israele. Sequestrato e ucciso a tradimento, fu detto, da giovani palestinesi, salafiti, che avevano in corso uno scontro di potere con Hamas.

Di Vik, della sua dolorosamente breve vita, della sua storia di solidarietà e inquietudine, in Palestina e nel mondo, parla questo libro, pubblicato nel 2015 da Round Robin, di cui Left con la editrice romana offre una nuova edizione: un atto di amore, che contribuirà a far conoscere la sua vita, dando corpo alla speranza che Egidia Beretta, la amata mamma di Vittorio, esprime all’inizio: «… Spero che siano i giovani, in particolare, a lasciarsi coinvolgere dalla storia di Vittorio, ad avvincersi e a voler raccogliere il suo testimone…».

Nelle graffianti immagini della graphic novel di Stefano Piccoli, conosciamo Vittorio come viaggiatore e narratore, volontario instancabile, attraverso Paesi europei ed africani, tra cui il Congo, poi il Libano…

Più volte in Palestina, dal 2002, più volte brutalmente respinto da Israele, ma sempre determinato fino a raggiungere Gaza con la nave Dignity, nel 2008, quando ricevette la cittadinanza onoraria palestinese e si unì all’International Solidarity Movement.

Vittorio amava Gaza e ne era riamato, come ci dicono le sue immagini sulle barche con i pescatori, seduto a terra a giocare con quei meravigliosi bambini, di cui Piombo fuso aveva fatto strage e ancor più ne farà l’operazione Margine Protettivo nel 2014.

Vittorio, di famiglia di partigiani, considerava la sua origine radice e ragione del suo impegno. Sì, Vittorio era un resistente, schierato dalla parte di una popolazione massacrata e incolpevole, ma che non ha mai smesso di lottare per la sua libertà. Mai schierato da una parte politica, Hamas o Fatah. Sosteneva il nascente movimento “Gaza Youth breaks out” e il loro manifesto per il cambiamento, (Fuck Israel, fuck Hamas, fuck Fatah…) comparso all’inizio del 2011, dopo che in Egitto era scoccata la scintilla delle rivolte arabe. Il suo essere un combattente di pace, senza schieramento partitico, era forse diventato intollerabile per chi nelle armi, nella guerra, in un misero e miserabile potere trova le sue ragioni.

I “salafiti” certo, gli autori materiali, due uccisi nello scontro con le milizie di Hamas e due condannati a vita, dopo un processo lento e lungo raccontato da Mirca Garuti, ma anche i mandanti morali, «gli sgherri di questo status quo che si sottraggono alla giudicabilità grazie alla sconcia inerzia della vile comunità internazionale», scrisse Moni Ovadia dopo la sua morte.

Le pagine di Guerrilla Radio sono emozionanti. Pensieri d’amore attraversano i ricordi nella seconda parte del libro. Ci parlano di che cosa ha lasciato Vittorio, di che cosa non è morto con lui, donne e uomini che hanno visto in Vittorio un testimone, come spiega bene Barbara Schiavulli, pur non avendolo conosciuto; un attivista dei diritti umani, come ricorda Meri Calvelli che lo ha incontrato tra le macerie di Piombo fuso, e gli ha dedicato il Centro di Scambi culturali VIK, punto di riferimento e di incontro tra giovani creativi, palestinesi e italiani; pensieri di chi ha insegnato il parkour, di chi ha fatto musica hip hop e rap, tra coloro che si sono ritrovati in questa utopia possibile di Vittorio che, come dice Maso Notarianni, era prima di tutto “una persona che voleva cambiare il mondo”…
Bello e commovente il ricordo/dedica che un giornalista Filippo Golia dedica all’amico Simone Camilli, reporter ucciso nell’estate del 2014 mentre cercava di filmare il disinnesco di una delle tante bombe inesplose durante Margine Protettivo: Vittorio Arrigoni e Simone Camilli, che Gaza “così avvolgente ed egoista ha voluto entrambi per sé”.