Il tema dell’antisemitismo all’interno del partito Laburista è stato centrale durante la leadership di Jeremy Corbyn. O meglio, è stata centrale la vulgata secondo la quale Corbyn e i suoi sodali alla guida del partito avrebbero favorito o quantomeno non scoraggiato l’antisemitismo all’interno del Labour.
In realtà, come riportato più volte anche su Left, non si è mai trattato di accuse specifiche nei confronti di Corbyn. Anche i suoi più acuti detrattori, incalzati, finiscono per riconoscere che non pensano che l’ex leader laburista sia personalmente un antisemita. Piuttosto, Corbyn veniva accusato di non aver fatto abbastanza per affrontare il problema, di aver chiuso un occhio nei confronti dei suoi sodali che avevano atteggiamenti antisemiti.
Uno stillicidio continuo che ha intaccato l’immagine di Corbyn e del partito Laburista, trasformato da incessanti campagne mediatiche in un partito “istituzionalmente razzista”, che costringeva i propri parlamentari di religione ebraica a dimettersi per le minacce ricevute, che addirittura metteva in pericolo la sicurezza dei cittadini britannici di religione ebraica. Questa campagna è diventata particolarmente serrata nell’estate del 2019, quando lo stallo parlamentare sulla Brexit e la defenestrazione della May da parte di Johnson rendevano molto probabili nuove elezioni politiche.
La vicenda ha avuto due momenti chiave: il primo a maggio 2019, con l’apertura di un’indagine da parte della Equality and Human Rights Commission (Ehrc) commissione statale che ha il compito di vigilare sul rispetto delle norme contro la discriminazione; il secondo qualche mese dopo (10 luglio 2019), quando la Bbc trasmette un documentario all’interno della trasmissione Panorama in cui ex dipendenti del Labour descrivono il partito a guida Corbyn come un partito intrinsecamente antisemita e con una leadership attivamente impegnata nell’insabbiare le denunce interne di antisemitismo. Il documentario fece scalpore a causa dell’alto rango dei funzionari coinvolti: tra questi, l’ex party secretary Ian McNicol, e l’ex responsabile dell’ufficio legale, Sam Matthews.
Veniamo all’oggi. L’indagine della Ehrc non si è ancora conclusa, e il partito Laburista vi sta collaborando fornendo documentazione atta a chiarire i suoi meccanismi disciplinari interni. Sabato scorso, si è scoperto che tra questi documenti sarebbe dovuto figurare anche un dettagliato rapporto sul funzionamento dell’ufficio legale del partito nel periodo 2014-2019. Tuttavia, secondo quanto riferisce SkyNews, gli avvocati del Labour hanno invitato il partito a non allegare questo documento, apparentemente perché questo avrebbe potuto peggiorare la posizione del partito stesso. Passano poche ore e l’intero rapporto – di ben 860 pagine e corredato da email, messaggi Whatsapp e altri dati sensibili – compare sui social media, scatenando un vero e proprio putiferio. In effetti, il documento contiene elementi estremamente controversi, ma non riguardo l’antisemitismo.
Sebbene gli estensori del rapporto (ancora ignoti) ammettano come alcuni membri del partito abbiano mostrato comportamenti antisemiti “della peggior specie”, non sono state rinvenute prove che questi siano stati condivisi da parte della leadership laburista né tantomeno tentativi di insabbiamento da parte di Corbyn o del suo staff. Quello che invece emerge da questa indagine interna è la testimonianza inconfutabile di un attivo boicottaggio da parte dei più alti funzionari del Labour, assunti dalle gestioni precedenti, nei confronti del proprio partito e in particolare del proprio segretario. Il rapporto evidenzia come il quartier generale del Partito fosse animato da un’atmosfera settaria, in cui la buona gestione appariva messa in secondo piano rispetto agli interessi di fazione: essenzialmente, la destra del partito.
“Ironicamente” si tratta proprio degli stessi funzionari comparsi nella trasmissione Panorama lo scorso luglio, a partire dall’ex segretario McNicol (oggi elevato alla Camera dei Lord). Il rapporto mostra come durante la loro gestione l’ufficio incaricato dei procedimenti disciplinari operasse in maniera poco professionale, e che molti casi di razzismo e discriminazione siano stati nei fatti ignorati. Il documento si spinge addirittura a sostenere la tesi secondo la quale la gestione di certi casi di alto profilo sia stata volontariamente manipolata dai funzionari proprio per creare imbarazzo alla leadership.
Tuttavia, l’ufficio aveva dimostrato di saper lavorare in maniera efficiente su dossier ritenuti più “prioritari”. Tra questi, quello che i funzionari nelle loro conversazioni private chiamavano “trot hunting”, la caccia al trotzkista: sospensioni ed espulsioni irrogate a membri di nuova iscrizione, sull’onda del successo di Corbyn, sospettati di avere una storia politica di estrema sinistra.
Il rapporto contiene molti altri dettagli sul conflitto tra apparato di partito e staff di Corbyn, ben al di là della questione antisemitismo. Da questo vero e proprio “dossieraggio”, fondato su oltre 10mila email e chat interne, emergono rivelazioni del tutto esplosive. Per dare un assaggio: gran parte dei funzionari si augurava apertamente la sconfitta del Labour alle elezioni del 2017, progettando la sostituzione di Corbyn con il sempre più acerrimo nemico Tom Watson.
L’exit poll che dava il Labour in crescita e i Conservatori di Theresa May senza maggioranza venne accolto come uno choc, o nelle parole di una dirigente «il contrario di tutto quello per cui abbiamo lavorato in questi anni». Dal rapporto sembra trasparire come i funzionari gestissero, all’insaputa della leadership, una linea di finanziamento diretta a finanziare le campagne di candidati espressione della destra del partito. Tra questi, il futuro “scissionista” Chuka Umunna, candidato nel sicurissimo collegio londinese di Streatham.
Nelle loro chat private, anche i più alti funzionari si lasciavano andare ad affermazioni di dubbio gusto su militanti, parlamentari, e colleghi, talora in termini razzisti e sessisti, o vantando veri e propri atti di bullismo (es. rivelazioni alla stampa di fatti privati). Tra i bersagli principali Corbyn e il suo staff, le Mp Diane Abbott (“ministro ombra” dell’Interno) ed Emily Thornberry (Esteri), ma anche semplici militanti. Le scorrettezze nei confronti di Diane Abbot sono particolarmente odiose essendo lei la prima parlamentare nera della storia inglese ed è vittima da decenni di pesantissimi attacchi personali e battutacce razziste. Addirittura in una occasione la Abbot – che è uno dei simboli della sinistra interna del partito – si era rifugiata in bagno per piangere in seguito ad un episodio spiacevole in Parlamento e lo staff del Labour ha scoperto in quale bagno fosse e lo ha riferito alla stampa perché potessero andare a cercarla.
Solo nel 2018, Corbyn sostituisce Iain McNicol con una sua alleata, Jennie Formby. Quasi tutti gli altri funzionari citati nel rapporto si dimettono nei mesi successivi. Da quel momento, rileva il documento, il Labour, ha introdotto regole disciplinari più severe e rafforzato il proprio sistema di soluzione delle controversie, affrontando i casi di antisemitismo in maniera più efficace che in passato.
A suo modo, il rapporto rende giustizia a Jeremy Corbyn. Pur riconoscendo senza mezzi termini che l’antisemitismo è un problema nel Labour (e nella società britannica), non vengono rinvenute prove a suffragio delle accuse più infamanti indirizzate in questi anni. Piuttosto, emerge con chiarezza come i suoi avversari interni abbiano seguito una strategia di aperto boicottaggio, al punto da mancare ai propri doveri professionali – tristemente, anche a danno dei militanti che hanno sofferto discriminazioni. Il rapporto è anche un bella gatta da pelare per Keir Starmer che ha appena stravinto il congresso del Labour proprio con la promessa di porre fine alle esasperate divisioni interne e si trova adesso a dover gestire una crisi getterà benzina sulle divisioni tra destra e sinistra del partito.