«In un momento in cui tutti subiamo pesantissime limitazioni alla libertà personale, i vescovi non accettano di vedere ridimensionato l’esercizio della libertà di culto e fanno pressioni sul governo. Ma la libertà di culto deve fermarsi davanti all’interesse generale. E che i vescovi pretendano privilegi che potrebbero mettere in pericolo la popolazione è scandaloso».
Il segretario dell’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti (Uaar), Roberto Grendene, commenta così lo scontro (per certi versi inedito nella storia repubblicana) tra governo e Conferenza episcopale italiana, in merito alla ripresa delle attività di culto, che il Dpcm del 26 aprile ha escluso da quelle che potranno ripartire dal 4 maggio. La libertà di culto è tutelata dall’articolo 19 della Costituzione, sostengono i vescovi nel pretendere da Conte che essa sia garantita mediante la possibilità di celebrare le messe già dal 4 maggio. Libertà che è stata rivendicata anche dai rappresentanti di altre religioni monoteiste, ma, va detto, nessuno lo ha fatto con la “veemenza” al limite della protervia dei vescovi cattolici.
«Le funzioni religiose – osserva Grendene – ricadono sotto la voce “assembramenti” e presentano, come ha riconosciuto il comitato tecnico-scientifico, “criticità ineliminabili”, tra cui il fatto che i fedeli sono quasi tutti anziani e che le pratiche della eucarestia sono di per sé talmente poco igieniche che non a caso hanno già scatenato cluster… In altre parole la Cei “esige” e non si fa scrupolo di mettere a rischio la vita delle persone più a rischio. Impossibile non rilevare poi come delle 12 confessioni che hanno stipulato un’intesa con lo Stato nessuna abbia fatto analoghe richieste di strappi alle regole. Il governo – conclude Grendene – ha il dovere di non cedere alle richieste di corsia preferenziale della Chiesa. Nessun presunto diritto divino prevale sulle leggi (e sulla pelle) dei comuni mortali, credenti e non credenti».