Karim aveva 10 anni e spesso i piedi scalzi come i suoi quattro fratelli. I vicini di casa raccontano che li vedevano scalzi per strada perché troppo poveri per indossare scarpe. Accade a Boltiere, in provincia di Bergamo.
Nel tardo pomeriggio del 19 maggio Karim si ritrova nel piazzale civico 19 di via Monte Grappa, la strada che taglia il paese della Bassa, dopo essere uscito di casa. Lì c’è uno di quei cassonetti per la raccolta di vestiti usati e Karim deve avere pensato che forse, frugando bene, avrebbe potuto trovare qualcosa da indossare, avrebbe potuto lasciare perdere quelle ciabatte con cui aveva attraversato il paese.
Si è arrampicato sul cassonetto, si è intrufolato, come i topi con gli avanzi solo che Karim era un bambino, e quando il portellone del cassonetto gli si è chiuso all’altezza dello stomaco deve avere pensato che forse se lo voleva mangiare. E infatti se l’è mangiato. Karim è morto, ritrovato verso sera da una donna che lavora in uno studio dentistico lì vicino e che stava andando a riprendere la sua auto. Ha visto solo le gambe che uscivano, il corpo senza sensi. Per recuperare Karim i vigili del fuoco hanno dovuto smontare tutto, tagliando le lamiere, poco dopo Karim non ce l’ha più fatta a continuare a respirare.
Un bambino morto mentre rovista tra i rifiuti degli altri per provare a indossarli è una storia che ha tutta la sua morale nei fatti, senza nemmeno bisogno di troppi commenti. È la povertà che viene facile nascondere perché si intrufola nelle fogne e negli scarti della vita normale e si nota poco, quasi niente. Eppure contiene un dolore che dovrebbe essere nazionale, contiene un lutto che è figlio di molti padri prima del cassonetto assassino. La fase 2 la ricorderemo anche così: è stata il via libera a Karim per recuperare un po’ di vestiti. Andrà tutto bene, dicono. Andrà tutto bene.
Buon giovedì.