La casa nel villaggio di Fasayel, ricostruita con mattoni di fango dagli abitanti e tanti attivisti palestinesi e internazionali a darsi il cambio, è una piccola oasi di felicità nel cuore della Valle del Giordano. Luogo di incontro, dibattito, lavoro volontario. Di pranzi condivisi e chiacchiere. È la sede del Jordan valley solidarity (Jvs), il comitato popolare locale che da anni difende le comunità da demolizioni di case e stalle, confische, divieto ad accedere all’acqua.
Con il tempo il Jvs si è allargato, ha aperto un’altra sede a Tubas, nel nord della Valle. E ha costruito case in mattoni di fango per centinaia di famiglie che hanno subito una demolizione da parte dei bulldozer dell’esercito israeliano.
La Valle del Giordano è un luogo simbolo, modello dell’occupazione militare: un tempo rigogliosissima (basta gettare uno sguardo oltre il fiume Giordano, verso le terre giordane verdissime, per capirlo), è oggi un semi-deserto. Gli unici sprazzi di alberi e verde sono le colonie agricole israeliane che costellano l’intera fascia di territorio. Ai palestinesi è vietato usare l’acqua che, generosa, scorre sotto i loro piedi. Devono comprarla dalla Mekorot, l’azienda israeliana che si appropria di risorse altrui e le rivende a prezzi maggiorati. Lavorare la terra diventa esercizio affatto remunerativo vista la concorrenza dei prodotti delle serre israeliane che l’acqua la ricevono gratis e pagano una miseria i palestinesi che ci lavorano senza contratto.
Un tempo casa per 300mila palestinesi, oggi la Valle è svuotata. Ne restano 60mila, dopo un costante trasferimento forzato da parte dell’occupazione, sotto forma di mancanza di lavoro, sottrazione delle risorse naturali, assenza di servizi. In tanti si sono spostati verso le grandi città, Gerico, Tulkarem, Nablus. Verso l’area A (secondo gli Accordi di Oslo del 1993 sotto il controllo civile e militare dell’Autorità nazionale palestinese, Anp), perché la Valle del Giordano è per il 90% area C (sotto il controllo civile e militare israeliano): 2.400 km quadrati in cui i palestinesi sono sottoposti all’autorità israeliana per costruire una casa, una stalla, un pozzo, una scuola, per aprire un’attività.
Ora su questo pezzo di Palestina si allunga l’ombra spettrale del piano di annessione israeliano. Dopo il giuramento del governo Netanyahu-Gantz, a metà maggio, la scadenza del primo luglio immaginata dal…
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