Salvatore Gurreri fu assassinato a 84 anni nella notte tra il 12 e il 13 giugno del 1992. Non volle abbandonare la sua Marina di Melilli alla devastazione ambientale e alla mafia che voleva fare affari con il nascente polo petrolchimico di Augusta

Salvatore Gurreri morì nella notte fra il 12 e 13 giugno del 1992 a Marina di Melilli in provincia di Siracusa. Fu ritrovato dentro il bagagliaio di una vecchia Alfa Romeo, nel pomeriggio del 14 giugno, con un colpo in testa, mani e piedi legate, “incaprettato”, un’esecuzione che portava con sé l’inconfondibile firma della mafia. Fino alla fine dei suoi giorni Gurreri, uno dei primi eroi – forse suo malgrado – della resistenza civile legata alle lotte ambientaliste nel nostro Paese, non chinò mai il capo davanti alla manifesta prevaricazione e prepotenza espansionista industriali che con il benestare di una politica miope (o peggio) nei primi anni 70, avevano voluto far sorgere, proprio di fronte a Marina di Melilli, un polo petrolchimico di rilevanza nazionale. Era questo l’ennesimo passo di un’industrializzazione massiccia dell’area iniziata nel 1949 ad Augusta, sempre in provincia di Siracusa. Fino agli anni 70 Marina di Melilli, Funnucu Novu in dialetto, è rimasto uno dei posti più poetici e romantici di una terra, la Sicilia, già molto bella di suo. Spiagge bianche, mare cristallino, era soprannominata per la sua bellezza incomparabile “la Baia degli Dei”. Non aveva praticamente strutture turistiche ed era proprio questa purezza a renderla ancora più attraente per coloro che decidevano di trascorrervi un periodo di vacanza o per quelli che ci vivevano. Fra chi decise di investire su quel piccolo paradiso naturale c’era proprio Gurreri, grande lavoratore originario di Vizzini, un paese vicino Catania, già ex amministratore unico di una ditta fabbricatrice di forni, essiccatoi e macchine per pastifici, attaccato alla sua terra come un personaggio di un romanzo di Verga. Insieme alla moglie Ercolina Mori, detta Nila, comprò un piccolo appartamento vicino al mare, in via Padova 3, un luogo che sarebbe diventato di lì a poco il simbolo della sua lotta per la difesa dei diritti propri e di quel territorio.

Lo splendore di Marina di Melilli si dissolse del tutto nel 1975 con l’entrata in funzione della raffineria Isab, complesso petrolchimico per la produzione di combustibile a basso tenore di zolfo, sorto proprio di fronte al paese e alla spiaggia di Fondaco. L’azzurro e la trasparenza del mare lasciarono in poco tempo il posto ai liquami dei solventi chimici, l’aria malsana e l’inquinamento ambientale fecero il resto, spingendo i quasi mille abitanti del paesino verso insediamenti nei dintorni. Fu una vera e propria deportazione di massa e più nulla impedì che il territorio subisse un radicale cambiamento, trasformandosi da tranquillo paese di pescatori e operai, con panificio, macelleria, alimentari, bar, telefono pubblico, tabaccaio, elettricista, scuola elementare e chiesa, in un polo industriale a tutti gli effetti. Agli “esodati” furono offerti soldi, indennizzi, case in altri paesi delle vicinanze: Priolo, Floridia, Melilli. Alcune famiglie in principio si opposero, ma poi cedettero sotto il peso delle minacce e delle angherie (a coloro che erano rimasti per un periodo furono persino staccate acqua e corrente elettrica). Restarono in pochi a combattere contro quella operazione, non a caso denominata “Tabula Rasa”. Alla fine se ne andarono tutti, tutti meno Salvatore Gurreri, il granello che rischiava di bloccare l’intero ingranaggio. Quando Marina di Melilli era ormai praticamente rasa al suolo, in un’intervista degli anni Settanta molto “on the road” rilasciata a Pippo Fava il fondatore della rivista I Siciliani – assassinato dalla mafia nel 1984 – Gurreri diffidente e un pò scontroso affermò contro ogni evidenza che lì, a casa sua, a Marina di Melilli, non c’era inquinamento ambientale, nessun cattivo odore e che non c’era alcun inquinamento delle acque. Era il suo modo di dire a tutti che per lui non c’era alcun motivo al mondo di andarsene e lasciare la sua casa sul mare. Insomma, sarebbe rimasto lì, Davide contro Golia. Non voleva né industrie né soldi, tantomeno voleva rinunciare alla sua casa e al suo mare.

Ed é lì che, come racconta la giornalista Roselina Salemi nel suo romanzo Il nome di Marina, «arriva un mafioso di Altofonte a convincerlo che non è il caso di discutere e che lui farà, come nei film, un’offerta difficile da rifiutare. L’offerta è questa: amico mio, vedo che hai una casetta simpatica, una bella moglie – complimenti – un cane, tre bambini piccoli e una gabbia con i pappagalli, allora ti vorrei ricordare che tutte queste cose e persone sono disgraziatamente combustibili». Gurreri lo denunciò. Negli anni seguiranno altre denunce e poi lettere e telegrammi al presidente della Repubblica, a ministri, per essere ascoltato. Invano. Nel frattempo, ci si rese conto di come Marina di Melilli fosse stata sacrificata nel nome del progresso. All’iniziale benessere economico portato dall’industria, si aggiunsero successivamente tante malattie, con una percentuale troppo alta rispetto alla media nazionale di deceduti per cancro e leucemie e di bambini nati malformati. Salvatore, vittima di mafia troppo poco ricordata, ha combattuto fino al giugno del 1992, giorno in cui venne assassinato.

Un omicidio per il quale dopo qualche anno è stato condannato a 25 anni di carcere – non per mafia, ma per una rapina finita malamente – un giovane priolese precedentemente scomparso, forse vittima della lupara bianca. Una sentenza che probabilmente evitò il carcere ai veri esecutori del delitto. A Gurreri e alla sua incredibile storia è dedicato il bel murales realizzato a Marina di Melilli lo scorso settembre dagli attivisti del Movimento per il lavoro, la sicurezza e le bonifiche e da Siracusa Ribelle, sul prospetto di quella che fu la sua abitazione. C’è lui dipinto in camicia scura e bretelle azzurre e in primo piano la scritta: “Resterò qui fino all’ultimo”. Grazie anche al murale in un certo senso ci è riuscito.