Se ce ne fosse stato ancora bisogno, le recentissime motivazioni con le quali i giudici del Riesame di Reggio Calabria respingono la reiterata richiesta di misure cautelari del Pm di Locri nei confronti di Mimmo Lucano rendono inequivocabile la natura politica del brutale attacco sferrato nel 2018 allo stesso ed al “modello Riace”.
«Quadro giudiziario inconsistente» – si legge nelle motivazioni – fondato su «elementi congetturali e presuntivi». Fondato, cioè, sul nulla e mirato solo a stroncare un modello che falsificava nei fatti la narrazione aberrante dell’immigrazione sulla quale ha fondato le proprie fortune elettorali un personaggio sinistro come l’attuale leader della Lega. E, fatto ancor più “grave”, un modello che offriva un percorso di rivitalizzazione e sviluppo delle aree interne della intera dorsale appenninica e riqualificazione delle aree periferiche e marginali delle aree metropolitane, di cui oggi, dopo lo sconquasso umano, sanitario e politico della pandemia, ci sarebbe un bisogno vitale per l’intero Paese e l’insieme dell’Unione Europea.
La sequenza dei fatti non lascia adito a dubbi. Ripercorriamola insieme.
2 ottobre 2018: il Tribunale di Locri emette un’inaudita ordinanza di arresti domiciliari per Mimmo Lucano.
17 ottobre: il Gip revoca gli arresti domiciliari, demolendo l’impianto accusatorio, e trasformando però, inspiegabilmente, gli arresti domiciliari in divieto di dimora.
3 aprile 2019, circa sei mesi dopo: la sezione penale della Cassazione emette una sentenza che fa ulteriore chiarezza sull’inconsistenza dell’impianto accusatorio contro Mimmo Lucano e chiede al Tribunale di revocare il divieto di dimora.
5 settembre 2019: arriva finalmente la revoca del divieto di dimora, concessa dopo altri cinque mesi ed una serie di vicende politiche. Innanzitutto le elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale di Riace del 27 maggio 2019, tenutesi in una condizione, di fatto, di sospensione della democrazia. Poi la chiusura del progetto di accoglienza Sprar di Riace, notificata già il 9 ottobre 2018. Infine il blocco dei fondi per i servizi già resi per i progetti Cas e Sprar, con circa 80 operatori rimasti senza retribuzione per mesi, e i fornitori che rivendicano giustamente il recupero degli importi per i beni forniti. Oltre a questi fatti politici, ricordiamo in questo periodo le note dolorose vicende personali di Lucano, mentre ancora si trovava in esilio.
21 maggio 2019 e 7 giugno 2020: il Tar della Calabria prima e il Consiglio di Stato poi dichiarano illegittima la chiusura del progetto Sprar di Riace.
7 luglio 2020: con motivazioni nette, i giudici del Riesame di Reggio Calabria rigettano l’appello del Pm di Locri che chiedeva il mantenimento di misure cautelari per Lucano, definendo «inconsistente» il quadro giudiziario che le motiva perché fondato su «elementi congetturali o presuntivi», quadro che «si riverbera negativamente sulla possibilità di configurare il delitto», in quanto «il programma perseguito dagli indagati non si è tradotto in condotte penalmente rilevanti». E molto altro.
Un percorso, quello sopra ricordato, che conferma senza equivoco alcuno che il processo a Lucano è un processo politico in piena regola. Il quadro in cui quel processo è nato e si sta sviluppando, alla luce di quest’ennesimo atto giudiziario, presenta elementi di seria preoccupazione. Non sarebbe il caso che gli organi del ministero di Grazia e giustizia a ciò deputati provassero, con gli strumenti propri dell’ordinamento, a fare chiarezza sull’operato del Tribunale di Locri relativo a questo caso? Il ministro Bonafede non ha niente da dire in proposito?
E non sarebbe anche il caso che la ministra Lamorgese, che sulle questioni dell’immigrazione non riesce a prendere parola, forse anche perché nei punti di comando degli apparati ministeriali cui è deputata la questione restano uomini nominati dall’ex ministro Salvini, come ad esempio l’ex prefetto di Reggio Calabria, elemento di punta dell’attacco a Riace, provasse a riconsiderare attentamente l’intera vicenda del “modello Riace”? A partire, ad esempio, dalla riconsiderazione e dallo sblocco dei fondi dei progetti Cas e Sprar del 2017/2018 dovuti per servizi effettivamente resi e rendicontati alle associazioni che gestivano all’epoca l’accoglienza e da un elementare senso di giustizia verso un uomo onesto, lungimirante e capace, e verso la paradigmatica esperienza della sua Riace?
Lucano è stato sindaco di Riace, per chi lo avesse dimenticato, dal 2004 al maggio 2019, quando la montagna di inconsistenti accuse giudiziarie – dichiarate tali dal Riesame – di conserva con il feroce attacco politico dell’allora ministro dell’interno Salvini, tagliando i fondi, tenendo Lucano in esilio, sospendendo di fatto la democrazia, ha consegnato l’amministrazione ad una giunta paraleghista guidata da un sindaco ineleggibile secondo il ministero, la Prefettura e il Tribunale di Locri, come ha espresso nella sentena di primo grado. Tuttora “sub iudice” per l’ultimo grado di giudizio. E alla guida di una giunta espressione di un Consiglio comunale in cui era stato eletto il segretario locale della Lega, incandidabile e perciò costretto a precipitose dimissioni, in quanto condannato in via definitiva per bancarotta fraudolenta.
Sarebbe ora di fare compiutamente giustizia. In Tribunale, dove non si può consentire di fare strame della dignità di una persona onesta, generosa, un amministratore intelligente e lungimirante, da circa due anni sotto torchio in un processo interminabile costruito sulle «supposizioni e suggestioni» di «un quadro giudiziario inconsistente». Non le sembra ministro Bonafede e ministra Lamorgese?
E nei palazzi della politica, dove pur tenendo in conto gli equilibrismi tra diverse sensibilità e culture di una maggioranza composita in permanente fibrillazione, diventa politicamente imperdonabile e ingiustificabile il modo in cui si continua ad infierire sul modello Riace, quasi a volerne persino cancellare le tracce. Un modello diventato, in Europa ed oltre, paradigma di una seria e saggia politica di accoglienza, inclusione e nuova qualità dei sistemi territoriali delle zone interne e della aree periferiche e marginali dei grandi centri urbani, oggi più necessaria che mai per il nostro Paese e l’intera Unione Europea. O forse è questo l’obiettivo mal celato?
Non le sembra presidente Conte? E non sembra alle forze di governo tutte, a cominciare dal Pd di Zingaretti, che non riescono a muovere paglia in direzione della cancellazione, ma nemmeno della modifica, degli aberranti decreti sicurezza di Salvini pur prevista dagli accordi di governo?