«L’Italia ripudia la guerra» dice la Costituzione ma i limiti alla compravendita di armi fissati 30 anni fa sono di fatto stati sempre violati. Con l’avallo dei governi di qualsiasi colore, compreso quello attuale, esportiamo di tutto anche nei Paesi che violano palesemente i diritti umani

Sono trascorsi trent’anni dall’entrata in vigore, il 9 luglio 1990, della legge n. 185 che ha stabilito “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”. La legge fu approvata con un’ampia maggioranza dopo cinque anni di intensi lavori durati due legislature. Una normativa fortemente voluta da un ampio movimento dell’associazionismo anche a seguito delle inchieste sui traffici di armi dell’Italia durante gli anni ottanta. Da allora sono trascorsi esattamente trent’anni. Cosa è rimasto della legge? Come è stata applicata? E, soprattutto, è stata in grado di prevenire esportazioni di armi a regimi repressivi e a Paesi in guerra?

Intanto va detto che nonostante le modifiche apportate nel corso degli anni allo scopo di aggiornarla «al ruolo dell’Italia nel nuovo quadro internazionale» e alle «mutate esigenze del comparto della difesa», ha mantenuto le sue caratteristiche originarie e dunque, risulta ancora valida per un efficace controllo dell’export. Ma è per lo più inapplicata. O meglio, è stata e viene tutt’ora applicata dai governi badando soprattutto a non incorrere in plateali violazioni degli embarghi di armi e in sanzioni internazionali, invece che a metterne in atto i principi ispiratori ed i rigorosi divieti. Per esempio, sebbene la legge stabilisca che l’export debba essere conforme «alla politica estera e di difesa dell’Italia», i numeri sull’export mostrano invece che nell’ultimo decennio i principali destinatari di sistemi militari non sono stati i Paesi dell’Unione europea e della Nato, ma quelli al di fuori delle nostre principali alleanze politico-militari. Nell’ultimo quinquennio più del 56,3% è stato destinato a Paesi extra Ue ed extra Nato (24,8 miliardi) a fronte dei 19,2 miliardi indirizzato agli alleati Ue-Nato. Quanto e come tutto questo sia conforme alla politica estera e di difesa non è mai stato spiegato al Parlamento e dunque ai cittadini.

Non solo. La legge vieta espressamente l’export «verso i Paesi in stato di conflitto armato», «i cui governi sono responsabili di gravi violazioni dei diritti umani» e «verso Paesi la cui politica contrasti con i princìpi dell’articolo 11 della Costituzione». Tra i maggiori destinatari dell’ultimo quinquennio per i quali c’è stata l’autorizzazione governativa all’export spiccano invece le…

L’articolo prosegue su Left in edicola dal 31 luglio

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO