«La composizione etnica delle galere statunitensi è il frutto di una precisa volontà di imprigionare afroamericani» spiega Mumia Abu-Jamal, giornalista e attivista in carcere dal 1982. «Lo scopo - spiega - è alleviare le ansie dei ricchi e mantenere la subordinazione nera»

«In America, i neri sono intimiditi, picchiati, molestati, fermati e perseguitati dai poliziotti. Il loro timore di dover interagire con le forze dell’ordine è motivato. E questa paura è reciproca».

È l’atto di accusa di Mumia Abu-Jamal, attivista, scrittore e giornalista statunitense, condannato alla pena di morte per l’omicidio dell’agente di polizia, Daniel Faulkner, nel 1982. Dopo una colluttazione per un brutale fermo del fratello, fu ritrovato ferito e incosciente accanto al corpo esanime del poliziotto. L’ex membro del Black panther party e simpatizzante del Move (un’organizzazione politica radicale afroamericana di Philadelphia) si è sempre dichiarato innocente. Il processo, che non ha fatto chiarezza in modo dirimente sugli eventi, è stato seriamente compromesso da una serie di vizi procedurali e irregolarità, fra cui ricordiamo i commenti razzisti pronunciati dal giudice durante le udienze. Amnesty International, la Commissione per i diritti umani dell’Onu e perfino il Parlamento europeo hanno difatti chiesto la revisione della sentenza. Grazie alla forte mobilitazione internazionale e al sostegno di numerose personalità (come la scrittrice premio Nobel Toni Morrison, il linguista Noam Chomsky, il cantautore Bruce Springsteen e il gruppo Rage against the machine), l’attivista, diventato uno dei maggiori simboli della lotta contro la pena di morte nel mondo, ha visto la sua pena capitale essere commutata in ergastolo nel 2011.

Attualmente, le speranze che venga un giorno liberato sono pressoché nulle. Eppure quasi quarant’anni di detenzione, di cui trenta nel braccio della morte, non hanno messo a tacere la sua voce. Nonostante l’amministrazione carceraria abbia cercato diverse volte di impedirglielo, il giornalista commenta l’attualità ogni settimana su Prison radio e ha pubblicato sei libri. La sua opera prima, Live from death row (Harper perennial, 1996), si è classificata tra i best seller del New York times.

Oggi Mumia Abu-Jamal risponde alle domande di Left dal carcere di Mahanoy in Pennsylvania.

Secondo l’ultimo studio condotto dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (2013), il 37% dei carcerati nel Paese sono afroamericani, nonostante costituiscano solamente il 13% della popolazione totale. Come interpretare questi numeri?
Queste statistiche non illustrano altro che le tattiche della cosiddetta “guerra alla droga”, una falsa battaglia agli stupefacenti avviata da Richard Nixon cinquant’anni fa per destabilizzare i movimenti di libertà e d’indipendenza dei neri e dei portoricani. (In un’intervista postuma pubblicata su Harper’s nell’aprile 2016, John Ehrlichman, il consigliere di Nixon per la politica interna, ha rivelato che il vero obiettivo della war on drugs era di criminalizzare i nemici storici del governo, la sinistra pacifista e i neri: «Potevamo arrestare i loro leader, perquisire le loro case, interrompere i loro incontri e diffamarli giorno dopo giorno sui media», ndr). Oggi, l’America rurale prevalentemente bianca si confronta con il più grande problema di…

L’intervista prosegue su Left in edicola dal 31 luglio

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