La notizia più attesa dell’estate statunitense finalmente è arrivata: sarà Kamala Harris la candidata vicepresidente al fianco del democratico Joe Biden, prima donna di colore a ricoprire questo ruolo. Il ticket Biden-Harris affronterà a novembre il presidente in carica Donald Trump, affiancato dal suo fedele alleato Mike Pence. Il processo di scelta della vicepresidente è iniziato il 15 marzo, quando Joe Biden ha annunciato che la sua compagna nella corsa alla Casa Bianca sarebbe stata certamente una donna. Una scelta accolta da alcuni come estremamente progressista, da altri come una sorta di premio di consolazione dopo l’uscita di scena di tutte le candidate donne presenti nelle primarie democratiche (ben sei). Tra loro c’era anche Kamala Harris, che aveva iniziato la sua corsa alla nomination proprio con un attacco frontale a Joe Biden. Durante il primo dibattito televisivo tra i candidati, il 27 luglio del 2019, Harris aveva accusato Biden di aver appoggiato politiche segregazioniste nel sistema scolastico, il cosiddetto busing, vincendo il dibattito a sorpresa con le parole «That girl was me», «Ero io quella ragazzina», alludendo al fatto di essere stata lei stessa vittima del busing. Kamala Harris, infatti, ha il papà jamaicano e la mamma indiana tamil, origini che la rendono parte della minoranza di colore anche se nata negli Stati Uniti. Kamala Harris sembrava la favorita nei dibattiti, il diamante allo stato grezzo emerso tra oltre venti aspiranti candidati alla nomination democratica. Poi, quasi senza preavviso, è arrivato il suo ritiro molto prima che si votasse per le primarie di partito, motivato da un’improvvisa mancanza di fondi per la campagna elettorale. La sua sparizione dalla rosa dei Dem al culmine del successo ha stupito non poco il mondo della politica. Uno stupore parzialmente sedato quando Biden ha annunciato che avrebbe scelto una donna al suo fianco: il nome di Harris è schizzato subito in cima alla lista delle favorite, nonostante la politica molto insistente condotta da Stacey Abrams, quasi governatrice afroamericana della Georgia, che non ha mai fatto mistero di ambire fortemente a quella carica. Kamala Harris è la scelta “sicura” per un candidato in bilico come Joe Biden: donna di colore con una carriera di successo alle spalle, è abbastanza giovane da assicurargli una successione nel 2024, qualora vincesse e non volesse ricandidarsi (Harris ha 55 anni, Biden 77), abbastanza progressista da spingere gli elettori di centro-sinistra a votarlo a novembre ma non troppo da spaventare i conservatori del partito. Harris è stata la prima donna nera a diventare Procuratore distrettuale a San Francisco e, nel 2010, prima donna di colore a essere nominata Procuratore generale della California, il secondo dipartimento di giustizia più grande dopo quello federale degli Stati Uniti. Durante questi anni, ha conosciuto il figlio di Joe Biden, Beau, che ricopriva la carica di Procuratore generale del Delaware. L’amicizia con suo figlio, morto di tumore nel 2015, è stata una delle motivazioni che Biden ha addotto per la sua scelta. Dal 2016, Harris è senatrice della California, seconda donna di colore mai eletta al Senato. Ma la carriera da record di Kamala Harris non è rimasta esente da critiche. Alcuni elettori radicali, tra cui dei sostenitori di Bernie Sanders, l’hanno accusata di essere incoerente nelle sue politiche. Se è vero che si è molto spesa per il cambiamento climatico, per il recupero di chi si avvicina per la prima volta alla droga aiutandolo a studiare e a trovare lavoro, per l’uguaglianza di genere e per il cambiamento climatico, Harris si è distinta anche per non essere incline alla morbidezza quando si tratta di punire il crimine. In particolare, nonostante abbia dichiarato di essere contro la pena di morte, rifiutandosi anche di eseguire una condanna mentre era Procuratore, non ha mai fatto nulla per far abolire la legge in California. L’accusa di incoerenza, d’altronde, può essere girata anche a Joe Biden, cosa che la stessa Harris ha fatto in merito al busing. Con l’uscita di scena di Bernie Sanders è sfumata la possibilità di avere un candidato “di sinistra” come si intende in Europa, riportando la lancetta delle elezioni americane sul centrismo che caratterizza la politica statunitense. Sembra ormai chiaro che il ticket Biden-Harris voglia proporre un ritorno ai fasti dell’era di Obama, suo ex vicepresidente lui, l’«Obama al femminile» lei. Dopo quattro anni di presidenza Trump, Joe Biden e Kamala Harris vogliono rassicurare l’elettorato proponendo poche sorprese, molti risultati rassicuranti. Non a caso, sui social spopola già lo slogan «Yes, we Kam», un gioco di parole tra il nome di Kamala e lo slogan di obamiana memoria «Yes, we can», «Sì, possiamo». Riuscirà Joe Biden, accusato di avere comportamenti inappropriati nei confronti delle donne (fino a un caso non accertato di molestie) a convincere chi ripone tutta la sua fiducia politica nella senatrice Kamala Harris?

La notizia più attesa dell’estate statunitense finalmente è arrivata: sarà Kamala Harris la candidata vicepresidente al fianco del democratico Joe Biden, prima donna di colore a ricoprire questo ruolo. Il ticket Biden-Harris affronterà a novembre il presidente in carica Donald Trump, affiancato dal suo fedele alleato Mike Pence.

Il processo di scelta della vicepresidente è iniziato il 15 marzo, quando Joe Biden ha annunciato che la sua compagna nella corsa alla Casa Bianca sarebbe stata certamente una donna. Una scelta accolta da alcuni come estremamente progressista, da altri come una sorta di premio di consolazione dopo l’uscita di scena di tutte le candidate donne presenti nelle primarie democratiche (ben sei). Tra loro c’era anche Kamala Harris, che aveva iniziato la sua corsa alla nomination proprio con un attacco frontale a Joe Biden. Durante il primo dibattito televisivo tra i candidati, il 27 luglio del 2019, Harris aveva accusato Biden di aver appoggiato politiche segregazioniste nel sistema scolastico, il cosiddetto busing, vincendo il dibattito a sorpresa con le parole «That girl was me», «Ero io quella ragazzina», alludendo al fatto di essere stata lei stessa vittima del busing. Kamala Harris, infatti, ha il papà jamaicano e la mamma indiana tamil, origini che la rendono parte della minoranza di colore anche se nata negli Stati Uniti.

Kamala Harris sembrava la favorita nei dibattiti, il diamante allo stato grezzo emerso tra oltre venti aspiranti candidati alla nomination democratica. Poi, quasi senza preavviso, è arrivato il suo ritiro molto prima che si votasse per le primarie di partito, motivato da un’improvvisa mancanza di fondi per la campagna elettorale. La sua sparizione dalla rosa dei Dem al culmine del successo ha stupito non poco il mondo della politica. Uno stupore parzialmente sedato quando Biden ha annunciato che avrebbe scelto una donna al suo fianco: il nome di Harris è schizzato subito in cima alla lista delle favorite, nonostante la politica molto insistente condotta da Stacey Abrams, quasi governatrice afroamericana della Georgia, che non ha mai fatto mistero di ambire fortemente a quella carica.

Kamala Harris è la scelta “sicura” per un candidato in bilico come Joe Biden: donna di colore con una carriera di successo alle spalle, è abbastanza giovane da assicurargli una successione nel 2024, qualora vincesse e non volesse ricandidarsi (Harris ha 55 anni, Biden 77), abbastanza progressista da spingere gli elettori di centro-sinistra a votarlo a novembre ma non troppo da spaventare i conservatori del partito. Harris è stata la prima donna nera a diventare Procuratore distrettuale a San Francisco e, nel 2010, prima donna di colore a essere nominata Procuratore generale della California, il secondo dipartimento di giustizia più grande dopo quello federale degli Stati Uniti. Durante questi anni, ha conosciuto il figlio di Joe Biden, Beau, che ricopriva la carica di Procuratore generale del Delaware. L’amicizia con suo figlio, morto di tumore nel 2015, è stata una delle motivazioni che Biden ha addotto per la sua scelta. Dal 2016, Harris è senatrice della California, seconda donna di colore mai eletta al Senato.

Ma la carriera da record di Kamala Harris non è rimasta esente da critiche. Alcuni elettori radicali, tra cui dei sostenitori di Bernie Sanders, l’hanno accusata di essere incoerente nelle sue politiche. Se è vero che si è molto spesa per il cambiamento climatico, per il recupero di chi si avvicina per la prima volta alla droga aiutandolo a studiare e a trovare lavoro, per l’uguaglianza di genere e per il cambiamento climatico, Harris si è distinta anche per non essere incline alla morbidezza quando si tratta di punire il crimine. In particolare, nonostante abbia dichiarato di essere contro la pena di morte, rifiutandosi anche di eseguire una condanna mentre era Procuratore, non ha mai fatto nulla per far abolire la legge in California.

L’accusa di incoerenza, d’altronde, può essere girata anche a Joe Biden, cosa che la stessa Harris ha fatto in merito al busing. Con l’uscita di scena di Bernie Sanders è sfumata la possibilità di avere un candidato “di sinistra” come si intende in Europa, riportando la lancetta delle elezioni americane sul centrismo che caratterizza la politica statunitense. Sembra ormai chiaro che il ticket Biden-Harris voglia proporre un ritorno ai fasti dell’era di Obama, suo ex vicepresidente lui, l’«Obama al femminile» lei. Dopo quattro anni di presidenza Trump, Joe Biden e Kamala Harris vogliono rassicurare l’elettorato proponendo poche sorprese, molti risultati rassicuranti. Non a caso, sui social spopola già lo slogan «Yes, we Kam», un gioco di parole tra il nome di Kamala e lo slogan di obamiana memoria «Yes, we can», «Sì, possiamo». Riuscirà Joe Biden, accusato di avere comportamenti inappropriati nei confronti delle donne (fino a un caso non accertato di molestie) a convincere chi ripone tutta la sua fiducia politica nella senatrice Kamala Harris?