Con la fondatrice del comitato Diritto alla scuola facciamo il punto della situazione a meno di due settimane dall'inizio dell'anno scolastico

«La salvaguardia della salute della collettività e il diritto allo studio sono due cose che devono andare di pari passo, non nella direzione opposta». Grazia Guazzaloca, fondatrice del comitato Diritto alla scuola, si batte sin dal primo lockdown affinché la ripartenza dell’anno scolastico possa avvenire in sicurezza e nel rispetto dei diritti di tutti. Tuttavia, dopo sei mesi e a pochi giorni dall’inizio delle lezioni si naviga ancora a vista. Non si è ancora del tutto sciolto il nodo legato all’uso della mascherina e anche il distanziamento dei banchi crea diversi problemi. La distribuzione delle “postazioni” monoposto è in corso ma è materialmente impossibile che tutte le regioni ne possano usufruire contemporaneamente e in egual misura. Per esempio, la Sicilia e la Campania hanno richiesto un ricambio complessivo rispettivamente del 69 e 61% dei banchi, il Veneto 16.

Uno dei problemi cruciali, la cui soluzione sembra ancora molto lontana, è poi costituito dalla procedura da seguire in caso una persona venga rilevata positiva al Covid-19. Stando a iuna nota del Miur i casi verranno valutati di volta in volta a seconda della loro entità e del ruolo della persona contagiata (docente, alunno, personale ATA), con la messa in quarantena solamente della classe colpita. Soluzione che non convince Guazzaluca: «Abbiamo bisogno di un sistema di tracciamento e di prevenzione completo e duraturo, non della “semplice” quarantena che per gli insegnanti significherebbe non poter insegnare. A mio parere, il personale scolastico dovrebbe essere equiparato per importanza e rischio di trasmissione del virus a quello sanitario, il che equivarrebbe a test periodici e continuo monitoraggio». Proprio un secondo lockdown è l’ipotesi che più spaventa Diritto alla scuola, gruppo da una forte connotazione femminile e attento alle istanze di madri e famiglie. E, pertanto, particolarmente sensibile alla questione degli asili nido e dei bambini nella fascia di età tra i zero e i sei anni, «i primi ad essere penalizzati da una ripartenza disorganizzata», ribadisce la fondatrice. «È un problema totalmente ignorato da parte del governo e invece di fondamentale importanza: una seconda chiusura, seppur temporanea, comporterebbe danni ingenti sul tessuto sociale ed economico del paese».

A queste incertezze si aggiunge inoltre uno dei dilemmi del sistema scolastico, nonché sanitario, in Italia: l’autonomia. Strumento a doppio taglio, che, se da una parte garantisce flessibilità e margini di iniziativa, dall’altra, in situazioni di emergenza come quella che stiamo vivendo, porta incertezza e smarrimento. Fin da maggio, con il Decreto rilancio, il Miur sostiene che il reperimento degli spazi per le aule e, strettamente connessa, la gestione delle assunzioni, devono essere gestiti dai singoli istituti. Tuttavia, «un’eccessiva autonomia contribuisce al perdurare delle diseguaglianze. Lo Stato non può “concedere” questa autonomia se poi alcune scuole funzionano bene e altre per niente. Il Paese è uno, e uno solo deve essere lo standard qualitativo, che non può essere assicurato solo dove gli enti locali riescono a lavorare meglio».