Violazione dei diritti umani, persecuzione degli oppositori, censura dei media. Lukashenko “difende” così la riconferma alla presidenza dell’unico Paese europeo in cui vige la pena di morte. Ne parliamo con Mauro Palma, garante nazionale delle persone private della libertà

Il 4 settembre scorso il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha esortato la Turchia ad assicurare l’immediato rilascio dell’imprenditore e difensore dei diritti umani Mehmet Osman Kavala, detenuto e in attesa della prossima decisione della Corte costituzionale turca sul suo caso. Il Comitato si è espresso durante la sua ultima riunione periodica per esaminare l’attuazione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu). Erdoğan in questo caso non può far finta di nulla. Erano altri tempi, infatti, rispetto a quelli attuali, ma forse in pochi ricordano che la Turchia è tra i primi Paesi ad aver aderito al Consiglio d’Europa (CdE), l’organizzazione internazionale fondata il 5 maggio del 1949 a Londra con lo scopo di «promuovere la democrazia, i diritti umani, l’identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa».

Ankara siglò il Trattato di Londra quattro mesi dopo, il 9 agosto 1949, e tutt’oggi insieme a Georgia, Armenia, Azerbaigian e Cipro è uno dei cinque Paesi del Consiglio (su 47) che non fanno parte dell’Europa geografica. A parte la Santa Sede c’è un solo Paese europeo che non fa parte del CdE e non per sua volontà. Il 12 marzo 1993 la Bielorussia ha presentato la sua candidatura che da allora è stata sempre respinta per l’assenza di democrazia, la violazione sistematica dei diritti umani e la vigenza della pena di morte. Da alcune settimane la capitale Minsk è scossa dalle proteste contro la nuova elezione di Lukashenko (al potere da 26 anni) e le poche notizie che filtrano dopo l’espulsione dei media stranieri, parlano di costante violazione dei diritti umani da parte delle forze di polizia.

Ne parliamo con Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. «C’è un buco nella mappa europea in cui le nostre istituzioni non possono in alcun modo far valere i diritti di cui l’Europa si fa portavoce» osserva Palma e aggiunge: «Tutte le istanze si devono fermare ai confini della Bielorussia, che sembra completamente disinteressata a condividere questa “cultura” europea». Tanto è vero che vi si continuano a eseguire condanne a morte. «Per farsi un’idea, addirittura la Turchia in virtù dell’appartenenza al CdE ha revocato nel 2002 quella del…

L’articolo prosegue su Left dell’11-17 settembre

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