Vitalità e Resistenza, capacità di reagire a un attacco criminale che dura da molti anni e che Erdoğan nel 2019 ha rilanciato contro i curdi nel nord est della Siria con una “missione”dal nome falso e ipocrita: “Sorgente di pace”.
“Ramoscello di ulivo” si chiamava l’offensiva che aveva lanciato nel 2018 su Afrin, per sterminare le Unità di protezione popolare (Ypg). Insopportabile per il nazionalista integralista Erdoğan la lotta che il popolo curdo porta avanti in nome della democrazia, della libertà, della laicità, mettendo al centro l’emancipazione delle donne. Nonostante la mancanza di mezzi, le donne curde hanno scelto di non fuggire, di non abbattersi e si sono organizzate trasformando una drammatica situazione di guerra e di persecuzione in un’occasione di sviluppo e di difesa dei diritti delle minoranze.
Guerrigliere senza nessuna ideologia della guerra, lottano per un futuro di pace. Per un futuro democratico della Siria lottava Hevrin Khalaf, giovane attivista laica e progressista che è stata violentata e uccisa da miliziani jihadisti sodali di Erdoğan.
Il femminicidio è da sempre l’arma dei fondamentalisti religiosi, in ogni epoca e latitudine. Insopportabile per i clericofascisti che siano state proprio le donne a schierarsi in prima linea contro l’Isis. È storia antichissima l’odio dei religiosi verso le donne libere di essere e di pensare.
Hevrin è stata uccisa barbaramente come la filosofa Ipazia nel IV secolo ad Alessandria d’Egitto per mano dei parabolani del vescovo Cirillo.
Tutto è immobile, agghiacciante e immutabile nel mondo degli integralisti religiosi. E vorrebbero costringerci a essere come loro. Privi di umanità.
Ma non riusciranno a irretirci, non smetteremo di opporci con tutte le nostre forze a questa spietata aggressione compiuta in nome di Dio e del nazionalismo. Dobbiamo usare ogni mezzo diplomatico e di pressione per fermare anche questo lucido tentativo di annientamento della minoranza curda attuato da Erdoğan con le armi che gli forniscono le potenze mondiali e con operazioni di sostituzione etnica, trasferendo milioni di profughi siriani (“bloccati” in Turchia per via degli accordi miliardari con l’Unione europea) nelle regioni dove i curdi sperimentano un radicale progetto di autogoverno democratico, ecologista egualitario, di convivenza pacifica.
L’Europa e l’Italia smettano di fornire armi alla Turchia; smettano di finanziare Erdoğan per il suo lavoro sporco: controllare i flussi dei migranti. L’Italia non può restare nella Nato di cui fa parte questa Turchia. Non restiamo sordi alla voce delle donne curde che in una lettera aperta chiedono la fine dell’invasione e dell’occupazione della Turchia nella Siria del nord e l’istituzione di una no-fly zone per la protezione della popolazione; chiedono di garantire la condanna di tutti i criminali di guerra secondo il diritto internazionale, di fermare la vendita di armi in Turchia; chiedono inoltre sanzioni economiche e politiche contro la Turchia e di adottare una soluzione della crisi politica in Siria coinvolgendo la società civile.
La stampa internazionale le aveva chiamate eroine quando avevano combattuto l’Isis, salvo poi negare la loro identità politica e di donne che rivendicavano diritti universali. Oggi larga parte di quella stampa internazionale tace. Noi non abbiamo mai chiuso gli occhi, anche di recente denunciando l’attacco ad Afrin nel 2018 e dando costantemente voce ai curdi. Ora, dopo aver dedicato loro un dossier su Left del 4 ottobre, torniamo a denunciare la violenza di questo ennesimo crimine contro l’umanità e contro le donne in modo particolare. Lo ricordiamo in questo volume con intensi articoli di scrittori come Tahar Lamri, Marco Rovelli, come il curdo iracheno Bachtyar Ali e la poetessa curdo siriana Widad Nabi. E raccogliamo la voce di attiviste, giornaliste e scrittrici turche come Pinar Selek ed Ece Temelkuran che sono state costrette a cercare rifugio all’estero e voci autorevoli come quella del premio Nobel Orhan Pamuk.
Ma soprattutto attraverso la loro stessa voce, ripercorriamo la strada di donne curde che hanno sviluppato un movimento di liberazione, a partire dalla riflessione politica di Öcalan e della leader del Pkk Sakine Cansiz; che hanno messo in piedi “scuole” di formazione dal basso e centri anti violenza anche nei villaggi. Lottano contro l’oppressione turca e di altri regimi ma, oltre a fronteggiare attacchi esterni, lottano contro l’oppressione interna che viene dal patriarcato.
Tutte le donne devono combattere contro cinquemila anni di mentalità di dominio maschile, dicono le guerrigliere curde. Consapevoli dell’annullamento millenario che ci ha colpite, invitano tutte a organizzarsi, studiando, cercando una propria realizzazione anche nella sfera pubblica, partecipando attivamente alla vita politica. Molte di loro lavorano per un modello politico nuovo, strutturato in cantoni amministrati dal basso: consigli popolari, cooperative e organizzazioni caratterizzate dalla co-presidenza di un uomo e di una donna, puntando a una piena parità di genere ai vertici dell’economia, della politica, dell’educazione. Per questo i regimi vogliono fermarle, obbligandole a imbracciare le armi per difendersi, per impedire loro di realizzarsi, con creatività; per impedire loro di innescare una rivoluzione collettiva, non violenta e internazionale.