Contro la controriforma della Costituzione che prevede il taglio lineare del numero dei parlamentari ci battiamo da oltre un anno. Coerentemente con quella che è sempre stata la nostra storia di ferma opposizione ad ogni tentativo di manomettere la Carta invece di attuarla; avendo strenuamente lottato contro i tentativi messi in atto da Berlusconi nel 2006 e da Renzi nel 2016, entrambi respinti dalla volontà popolare attraverso il voto. «Dagli anni Ottanta del secolo scorso si è andata coagulando una sorta di nuova ideologia italiana - nuova ma con radici antiche - che è antipartitica, antiparlamentare, anticostituzionale, tecnocratica, che tende alla demolizione del primato della politica, alla sua personalizzazione, alla disintermediazione e che esalta la mitologia del maggioritario per coltivare in realtà un progetto non dichiarato: quello di introdurre una rudimentale repubblica di tipo presidenziale, attraverso l’elezione diretta dell’esecutivo ma senza i pesi e contrappesi dei sistemi presidenziali classici», scrive l’avvocato Luciano Belli Paci in questo sfoglio. La Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza come è noto era nel mirino del piano eversivo “di rinascita” dell’Italia ordito dalla P2 di Licio Gelli, e più di recente era stata giudicata un ostacolo alle “riforme” dalla Banca d’affari J. P. Morgan perché giudicata troppo democratica e socialista. Ora l’ennesima spallata arriva, con la complicità del Pd, dal Movimento cinque stelle che della riduzione del numero dei parlamentari ha fatto una battaglia identitaria. L’obiettivo? Abbattere la democrazia rappresentativa e sostituirla con una sedicente democrazia diretta, nei fatti eterodiretta da una piattaforma privata denominata Rousseau. Questa è la brutale sintesi di quel che sta avvenendo proprio mentre siamo alle prese con una pandemia che ha acuito le disuguaglianze, mentre si annuncia un autunno durissimo di crisi economica e di licenziamenti. Ridurre la rappresentanza in un momento simile è un’operazione politica irresponsabile e criminale. Tanto più perché compiuta per futili motivi, per un risparmio irrisorio, come ci ricorda l’incisivo e puntuale vademecum delle ragioni del No stilato da Leonardo Filippi, che conclude uno sfoglio di autorevoli interventi che, oltre a quello di Belli Paci, comprende quelli della costituzionalista Anna Falcone e della sindacalista ex segretaria generale della Cgil Susanna Camusso ma anche l’appassionato intervento del diciassettenne Gabriele Bartolini, responsabile del movimento Giovani per la Costituzione. Ammesso e non concesso che risparmiare sulla democrazia sia un obiettivo da perseguire, lo si potrebbe ottenere riducendo lo stipendio dei parlamentari. Infinitamente di più si otterrebbe tagliando le miliardarie (in euro) spese militari, tagliando i miliardari privilegi della casta sacerdotale e della Chiesa, recuperando miliardi di evasione fiscale. Ma con tutta evidenza non c’è la volontà politica di farlo. Il Pd che per tre volte ha votato No a questa riforma in quarta lettura ha votato Sì, «per fedeltà al patto di governo», è stato esplicitamente detto, non per difesa di valori e ideali. Ma forse le cose non stanno proprio così. Un pericoloso obiettivo c’è anche se non dichiarato esplicitamente. Anche il maggior partito del centrosinistra, nato con una vocazione maggioritaria, intende aprire le porte al presidenzialismo, al governo dell’uomo solo al comando? Domanda provocatoria, ma non troppo. Sappiamo bene che - la riduzione della rappresentanza con l’esclusione di interi territori, la riduzione del pluralismo e la sparizione dei piccoli partiti (che non potrebbero più far sentire la loro voce nelle Commissioni), il mantenimento delle liste bloccate che promuovono solo i fedelissimi delle segreterie - portano in quella direzione, consegnando il Parlamento a un potere rigidamente oligarchico. Le destre ci stanno lavorando da tempo e le proposte depositate da parlamentari di Fratelli d’Italia e della Lega, fra le quali quella per l’elezione diretta del Capo dello Stato, sono esplicite da questo punto di vista. Subalterni alla demagogia dell’antipolitica, a chi voleva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno (salvo poi puntare ad accaparrarsi i più alti scranni) il Pd si è fatto tappetino per questa riforma eversiva che rischia di essere il cavallo di Troia di altre nefande riforme a cominciare dal progetto di attuazione dell’autonomia differenziata (ribattezzata da Viesti «secessione dei ricchi») che cancellerebbe l’universalità dei diritti, producendo un’Italia a due velocità proprio mentre al contrario, come ha reso evidente l’emergenza sanitaria, il sistema sanitario pubblico nazionale andrebbe centralizzato e reso più forte, proprio quando andrebbero uniformemente potenziate la medicina territoriale e la prevenzione. Di fronte a questa prospettiva noi torniamo ad esprimere un fermo No su queste pagine e, soprattutto, attraverso il voto al Referendum del 20 e 21 settembre. [su_divider style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

L'editoriale è tratto da Left del 18-24 settembre
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Contro la controriforma della Costituzione che prevede il taglio lineare del numero dei parlamentari ci battiamo da oltre un anno. Coerentemente con quella che è sempre stata la nostra storia di ferma opposizione ad ogni tentativo di manomettere la Carta invece di attuarla; avendo strenuamente lottato contro i tentativi messi in atto da Berlusconi nel 2006 e da Renzi nel 2016, entrambi respinti dalla volontà popolare attraverso il voto.

«Dagli anni Ottanta del secolo scorso si è andata coagulando una sorta di nuova ideologia italiana – nuova ma con radici antiche – che è antipartitica, antiparlamentare, anticostituzionale, tecnocratica, che tende alla demolizione del primato della politica, alla sua personalizzazione, alla disintermediazione e che esalta la mitologia del maggioritario per coltivare in realtà un progetto non dichiarato: quello di introdurre una rudimentale repubblica di tipo presidenziale, attraverso l’elezione diretta dell’esecutivo ma senza i pesi e contrappesi dei sistemi presidenziali classici», scrive l’avvocato Luciano Belli Paci in questo sfoglio. La Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza come è noto era nel mirino del piano eversivo “di rinascita” dell’Italia ordito dalla P2 di Licio Gelli, e più di recente era stata giudicata un ostacolo alle “riforme” dalla Banca d’affari J. P. Morgan perché giudicata troppo democratica e socialista. Ora l’ennesima spallata arriva, con la complicità del Pd, dal Movimento cinque stelle che della riduzione del numero dei parlamentari ha fatto una battaglia identitaria. L’obiettivo? Abbattere la democrazia rappresentativa e sostituirla con una sedicente democrazia diretta, nei fatti eterodiretta da una piattaforma privata denominata Rousseau. Questa è la brutale sintesi di quel che sta avvenendo proprio mentre siamo alle prese con una pandemia che ha acuito le disuguaglianze, mentre si annuncia un autunno durissimo di crisi economica e di licenziamenti.

Ridurre la rappresentanza in un momento simile è un’operazione politica irresponsabile e criminale. Tanto più perché compiuta per futili motivi, per un risparmio irrisorio, come ci ricorda l’incisivo e puntuale vademecum delle ragioni del No stilato da Leonardo Filippi, che conclude uno sfoglio di autorevoli interventi che, oltre a quello di Belli Paci, comprende quelli della costituzionalista Anna Falcone e della sindacalista ex segretaria generale della Cgil Susanna Camusso ma anche l’appassionato intervento del diciassettenne Gabriele Bartolini, responsabile del movimento Giovani per la Costituzione. Ammesso e non concesso che risparmiare sulla democrazia sia un obiettivo da perseguire, lo si potrebbe ottenere riducendo lo stipendio dei parlamentari. Infinitamente di più si otterrebbe tagliando le miliardarie (in euro) spese militari, tagliando i miliardari privilegi della casta sacerdotale e della Chiesa, recuperando miliardi di evasione fiscale. Ma con tutta evidenza non c’è la volontà politica di farlo. Il Pd che per tre volte ha votato No a questa riforma in quarta lettura ha votato Sì, «per fedeltà al patto di governo», è stato esplicitamente detto, non per difesa di valori e ideali. Ma forse le cose non stanno proprio così. Un pericoloso obiettivo c’è anche se non dichiarato esplicitamente. Anche il maggior partito del centrosinistra, nato con una vocazione maggioritaria, intende aprire le porte al presidenzialismo, al governo dell’uomo solo al comando? Domanda provocatoria, ma non troppo. Sappiamo bene che – la riduzione della rappresentanza con l’esclusione di interi territori, la riduzione del pluralismo e la sparizione dei piccoli partiti (che non potrebbero più far sentire la loro voce nelle Commissioni), il mantenimento delle liste bloccate che promuovono solo i fedelissimi delle segreterie – portano in quella direzione, consegnando il Parlamento a un potere rigidamente oligarchico.

Le destre ci stanno lavorando da tempo e le proposte depositate da parlamentari di Fratelli d’Italia e della Lega, fra le quali quella per l’elezione diretta del Capo dello Stato, sono esplicite da questo punto di vista. Subalterni alla demagogia dell’antipolitica, a chi voleva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno (salvo poi puntare ad accaparrarsi i più alti scranni) il Pd si è fatto tappetino per questa riforma eversiva che rischia di essere il cavallo di Troia di altre nefande riforme a cominciare dal progetto di attuazione dell’autonomia differenziata (ribattezzata da Viesti «secessione dei ricchi») che cancellerebbe l’universalità dei diritti, producendo un’Italia a due velocità proprio mentre al contrario, come ha reso evidente l’emergenza sanitaria, il sistema sanitario pubblico nazionale andrebbe centralizzato e reso più forte, proprio quando andrebbero uniformemente potenziate la medicina territoriale e la prevenzione. Di fronte a questa prospettiva noi torniamo ad esprimere un fermo No su queste pagine e, soprattutto, attraverso il voto al Referendum del 20 e 21 settembre.

L’editoriale è tratto da Left del 18-24 settembre

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SOMMARIO

Direttore responsabile di Left. Ho lavorato in giornali di diverso orientamento, da Liberazione a La Nazione, scrivendo di letteratura e arte. Nella redazione di Avvenimenti dal 2002 e dal 2006 a Left occupandomi di cultura e scienza, prima come caposervizio, poi come caporedattore.