Un doppio voto che conferma le previsioni e fotografa lo stato in cui siamo. Si allargano le destre alle regionali. C’è una resistenza, assai “variegata” politicamente che “difende” dalle destre un simbolo come la Toscana e due punti importanti come Puglia e Campania. Vince un referendum populista sostanzialmente di destra ma con una buona resistenza costituzionale e di sinistra.
Ma stiamo alle regionali: 3 a 3, più la Val d’Aosta, dove la Lega diventa prima partito. Questo è l’esito. Ma siccome non è calcio questo voto regionale va riflettuto per capire di cosa è figlio e dove porterà.
In prima sintesi possiamo dire che le destre confermano e allargano il loro strapotere in Veneto e Liguria (dove Toti cresce assai dal turno precedente) non lasciando scampo ad avversari del centrosinistra. Anche quando si presentano con candidati di buon profilo come in Veneto. E con il supporto in Liguria dell’unico accordo tra Pd e Cinquestelle e tutto lo schieramento governativo unito (con la defezione dei renziani). Con il candidato Sansa, con il suo no al referendum, appoggiato anche a sinistra.
Le destre invece sono competitive ovunque tranne che contro De Luca in Campania.
Il Pd (più ancora del centrosinistra) perde una regione storica come le Marche. Dove i Cinquestelle hanno corso in proprio. E che dunque va a fare compagnia all’Umbria.
Il renziano Giani va alla fine abbastanza largo in Toscana. Anche qui senza grillini. E idem un uomo che ha un profilo proprio come Emiliano in Puglia, deprivato di renziani e grillini. Qui le destre sono fermate. Ma fino a quando e per fare che è tutto da vedere.
I Cinquestelle sono ovunque ben lontani dal voto politico. Si può anzi parlare di un vero tracollo.
In Veneto e Toscana vanno male. In Liguria l’accordo col Pd non serve. In Campania, Puglia e, meno, Marche stanno ancora intorno alle due cifre.
Ma i grillini portano a casa il referendum che hanno posto al centro dei loro commenti di vittoria. Commenti che, tra le righe, riaprono lo scontro sulla leadership e le scelte politiche.
Riassumendo destre che si allargano e sono competitive ovunque. Pd che non inverte il declino elettorale e politico, ma che rilancia sul che fare del governo.
Un referendum populista e di destra che verrà rivendicato dai grillini per sé, dal Pd per “fare le riforme” e dalle destre per chiedere voto anticipato e presidenzialismo. E che potrebbe rafforzare il governo come minarlo.
Si è votato (anche con una buona affluenza) col Covid. In una data anomala. Con l’anomalia di una sovrapposizione col referendum costituzionale. Con un quadro dei “poteri” molto “mosso” dove l’unica certezza è la dipendenza da Bruxelles.
Soprattutto, e dovrebbe essere questo il tema centrale di analisi e riflessioni, si è votato in mezzo ad una crisi economica e sociale senza precedenti ma preceduta da molti anni che l’hanno incubata prima che il Covid facesse da detonatore.
L’abbinata tra elezioni regionali e referendum, assolutamente impropria, ha consentito però di ragionare sulla deformazione della rappresentanza e delle stesse istituzioni a cui si è giunti e su dove si vorrebbe arrivare.
Le rappresentanze regionali italiane sono state decurtate oltre ogni limite. Elette per altro con leggi assurde che accentrano il potere su “governatori” ed escludono la rappresentanza. Campagne elettorali degradate all’insegna del “vota per me perché lui è peggio”. Uno spettacolo non bello a cui seguono le gesta dei “governatori” che si esibiscono in “qui comando io”.
Tagliare ora Camera e Senato va nella stessa direzione di amputare le istituzioni per completare l’amputazione della politica e consegnarle al demiurgo presidente del Consiglio di turno. Tanto c’è il pilota automatico.
In questo tipo di Regioni, così ridotte, arriva il voto del 20/21. Con le destre che crescono, si consolidano, avanzano. E le “resistenze” di diverso conio del centrosinistra.
Che impatto avrà questo risultato?
Le destre hanno “usato” le regionali per logorare il governo.
Zingaretti ha cercato di cavalcare il tema della barriera contro le destre del rapporto con i Cinquestelle come chiave di un nuovo bipolarismo. Con risultati che amplifica per rilanciare la “stagione riformatrice” ma che vanno visti al dunque data la frammentazione del quadro. Difficile che De Luca, Giani ed Emiliano si facciano “gestire” da lui. E le scelte del governo sono tutte da vedere.
Sui territori si sono mosse dinamiche figlie di quel processo di smottamento istituzionale e politico che richiamavo.
Molti Presidenti, quasi tutti, si muovono in proprio. Vale sia per il centrosinistra che per il centrodestra. Per De Luca, Giani, Zaia, Toti ma anche per gli altri. In primis Bonaccini.
Questo perché c’è un quadro politico stabile nelle “dipendenze” ma instabile negli “esecutori”.
Stabile non significa certo. Cosa succederà in Europa tra l’extra spesa di oggi e il permanere dell’impianto di liberismo e austerity?
E in Italia Draghi è una risorsa (un po’ stanca, come detto da Conte) o l’alternativa proprio a Conte garante e playmaker dell’asse Pd Cinquestelle?
E che ne sarà tra i grillini dell’asse strategico Pd Cinquestelle dopo il doppio voto, vincente sul referendum e mancato e comunque non buono alle regionali?
Poi c’è un grande agitarsi dei presidenti regionali tra cui qualcuno appare ambire molto.
E ci sono troppe trasversalità, soprattutto nell’area padana, come si è visto ancora da ultimo con lo strappo sulla riapertura degli stadi con Bonaccini a dare il primo colpo e Zaia e Fontana a rispondere subito.
Ma questo vale anche per il Mes, l’autonomia differenziata, il taglio delle tasse alle imprese, le grandi opere e molto altro. E c’è la riforma elettorale.
Sarebbe bene che questo gran lavorio del potere trovasse di riscontro un diverso progetto sociale e democratico. Che valga per i territori, il Paese, l’Europa.
Il 30% di no al referendum sono l’inizio di una riscossa di sinistra costituzionale in un referendum con una buona partecipazione al voto che conferma l’importanza di questa battaglia voluta e fatta.
Nelle regionali le liste di alternativa di sinistra hanno avuto risultati che sono minimi. Ma anche le confluenze “coraggiose” non sono servite in Liguria e Veneto. Non si esce tranquilli da questo voto. Si conferma che c’è da dare una risposta nuova e diversa al Covid e ai 30 anni liberisti che lo hanno preceduto. E questo va fatto da subito.