Lo aveva annunciato giorni fa ora è stato messo nero su bianco. Il “Patto sull’immigrazione e l’asilo” presentato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Layen, è un documento di 36 pagine con cui si dichiara l’ambizioso progetto di operare una svolta radicale in materia.
Il testo, su cui erano già uscite numerose anticipazioni, è complesso ma ad una prima lettura non segna reali e strutturali discontinuità col passato. È frutto dei differenti interessi che ci sono fra i Paesi più esposti all’arrivo di migranti soprattutto via mare, come Italia, Grecia e Malta, e Paesi refrattari a qualsiasi coinvolgimento come il Gruppo Visegrad, i Paesi scandinavi, l’Austria. È dunque come ammesso dallo stesso vicepresidente della Commissione, Margaritis Schinas, «un compromesso».
Ci sono senza dubbio aspetti positivi che non vanno sottovalutati come l’impegno, anche mediante ulteriori risorse economiche, di veder garantito il salvataggio in mare non come un optional ma come un dovere che dovrà essere garantito dalle istituzioni europee. Ma poi?
Nella presentazione Margaritis Schinas ha descritto il nuovo patto come «un palazzo di tre piani», in cui «al primo piano c’è la dimensione esterna, molto forte e che prevede ulteriori accordi con i paesi di origine e di transito. La finalità è aiutarli ad aiutare le persone nei loro paesi di origine», ha detto Schinas. Al «secondo piano» della casa ci sarà «un solido sistema di screening alla frontiera esterna con una nuova guardia di frontiera e costiera europea, con molto più personale, imbarcazioni e strumentazione». Tutti le procedure di identificazione saranno rafforzate per orientare le persone attraverso il percorso che devono affrontare. «Questo – ha osservato Schinas – per evitare la confusione dell’attuale sistema o meglio ‘non sistema’ che ci governa». E infine il «piano superiore» dell’edificio, presentato come un «meccanismo rigoroso ma giusto di solidarietà» che introduce per i profughi arrivati in Europa un sistema di «ritorni sponsorizzati».
Il meccanismo pensato è complesso e di difficile attuazione. Non potendo imporre l’obbligatorietà per i Paesi UE di accettare la redistribuzione dei richiedenti asilo, si ripropongono con alcune variazioni le antiche e fallite ricette. In primis un rapporto di maggior ricatto con i Paesi di emigrazione e di transito. L’UE si impegna a sostenere quelli che firmeranno accordi più stringenti per la riammissione, (dal vero e proprio sostegno economico a percorsi selezionati per progetti Erasmus per studenti a cui verrà permesso di entrare in Europa). Se questi accordi non si realizzeranno o se peggio ancora i Paesi in questione non collaboreranno per controllare le frontiere, ci sarà meno sostegno e questo incentiverà le persone provenienti dai Paesi più in crisi a tentare ugualmente la fuga.
Il secondo pilastro, più che piano, prevede poi di rendere più efficace lo screening alla frontiera di chi è appena arrivato. Identificazione da realizzare entro 5 giorni e definizione in tempi ristretti (al massimo 12 settimane) per capire se il richiedente ha diritto o meno a restare in Europa Con un pragmatismo a dir poco sospetto, si parte dal presupposto che solo il 20% di chi arriva avrà diritto a protezione, per gli altri solo il rimpatrio, volontario assistito o coattivo.
Il periodo in attesa, che inevitabilmente si allungherà – ammesso e non concesso che per un impianto sovranazionale vengano definite anche le autorità giuridiche a cui poter appellarsi per il ricorso – come si svolgerà?
Numerosi accenni nel documento, che dovrà comunque essere discusso prima nel Consiglio (quindi fra i 27 governi) e poi nel Parlamento Europeo, lasciano pensare che verranno intensificate le pratiche e le giustificazioni di trattenimento dei richiedenti asilo, che si vorrebbero veder uniformate nei tempi e nei modi in tutto il continente.
Si prevede un potenziamento di Frontex, della Guardia di frontiera e costiera europea, che dovrebbero essere strutturate su un modello nuovo, con risorse e poteri maggiori. Del resto saranno sempre i funzionari di Frontex che nel piano, la cui durata è di almeno 5 anni, ad avere in fin dei conti pieni poteri anche nei singoli Paesi secondo la proposta della Commissione.
Una volta giunti in Europa – anche gli hotspot galleggianti verranno considerati territorio europeo – si avvieranno le pratiche e, fatti salvi i soggetti più vulnerabili (minori non accompagnati, minori di 12 anni con le famiglie, donne a rischio di sfruttamento sessuale), il massimo sforzo verrà prodotto per i rimpatri.
Coloro che verranno considerati, nel Paese di approdo, come aventi diritto alla protezione, potranno essere ricollocati nei Paesi disponibili, ovviamente non avranno alcun valore né peso le volontà delle persone.
Per i paesi indisponibili ad accettare rifugiati si proporrà di farsi carico attraverso una «sponsorship», della spesa dei rimpatri. E qui il meccanismo sembra rasentare l’assurdo. Gli «irregolari» (considerati migranti economici in base al Paese di provenienza), dovranno restare 8 mesi nel Paese in cui sono approdati. Se trascorsi gli 8 mesi i «Paesi refrattari» non avranno provveduto a realizzare i rimpatri, si vedranno recapitare sul proprio territorio gli «irregolari» e a questo punto toccherà direttamente a loro occuparsi di rimandarli a casa.
Ovvio pensare che per queste persone (termine che si dimentica troppo spesso) o verrà determinato un lungo trattenimento in strutture come i Cpr o si eclisseranno per evitare il rimpatrio.
Nessun ricollocamento obbligatorio, come annunciato giorni addietro, né sembrano prospettarsi sanzioni per chi non si uniforma alle misure previste.
Si parla in maniera anche retorica, di vincoli di solidarietà, si chiede uno sforzo comune, ma di fatto si annulla totalmente – e nel testo è scritto chiaramente – la proposta di modifica al Regolamento Dublino elaborata 4 anni fa. Questa viene semplicemente superata dal nuovo meccanismo che in teoria rende superato il regolamento, in pratica, per non scontentare nessuno, fonda il proprio impatto sui rimpatri più che sull’accoglienza nei diversi Paesi. Eppure nella stessa introduzione la Commissione ha ben presente che la presenza di migranti irregolari (economici o richiedenti asilo) è ben lontana dal periodo critico del 2015/16 , irrilevante dal punto di vista percentuale rispetto al numero di abitanti in Ue, di scarso impatto per quanto riguarda la sicurezza, la criminalità, la concorrenza sul mercato del lavoro.
Per la commissaria Johansson, la gestione della migrazione «non consiste nel trovare una soluzione perfetta, ma una soluzione accettabile per tutti», e aggiunge: «Immagino che nessuno stato membro dirà che questa è una proposta perfetta, ma spero che i 27 diranno che è un approccio equilibrato su cui vale la pena lavorare».
Ma a Vienna e Praga questo non basta. Si tratta del primo segnale di chiusura che potrebbe portare a rendere ancora più insignificanti le tante pagine e le tante dichiarazioni di questi giorni.
A detta dell’organizzazione Oxfan, in un commento a caldo, «per raggiungere un consenso, la Commissione ha ceduto alle pressioni dei governi europei il cui unico obiettivo è ridurre il numero di beneficiari di protezione internazionale nel continente»,
Inevitabile poi, per molti attivisti, che si arrivi a realizzare ancora più strutture di detenzione e di maltrattamento dei richiedenti asilo in cui si riprodurranno situazioni come nell’hotspot di Moria in Grecia. Non a caso il Patto è stato presentato a seguito del rogo che ha raso al suolo il campo dell’isola di Lesbos. Proprio mentre Ursula Von der Layen, rilasciava interviste di lancio del patto, spiegava come, al posto di Moria verrà realizzata una tendopoli in una ex base militare, terribilmente simile a quello in cui vivevano ammassate 12500 persone.
Centri di accoglienza che diventano di fatto di detenzione, a Lesbos come a Lampedusa, potrebbero rappresentare il futuro che si prospetta
Netto il commento di Matteo Villa dell’ISPI Research Fellow – Programma Migrazioni: «A cinque anni dalla crisi dei rifugiati siriani, e a tre da quando anche verso l’Italia i flussi sono crollati tornando ai livelli pre-crisi, le distanze tra i paesi UE su come rispondere alla sfida delle migrazioni restano incolmabili. Proprio per questo anche il pacchetto di riforme proposto oggi dalla Commissione, pur di venire incontro alle esigenze di tutti, non soddisfa nessuno. In un’Europa in cui manca solidarietà, l’unico punto su cui tutti concordano è la riduzione degli arrivi irregolari. Con le buone (sviluppo) o le cattive (controlli e rimpatri). Riforme? Forse. Ma in piena continuità con le scelte del passato recente».
E poi ci saranno i tempi di attuazione anche delle parti migliori del Patto, organizzazione, realizzazione degli spazi per lo screening, costruzione di reali meccanismi di protezione e ricollocazione.
E manca totalmente la sola proposta che poteva segnare discontinuità, la definizione di canali di ingresso regolari in Europa per trovare lavoro, al limite temporanei ma per ricerca occupazione.
Un patto che pone limiti ai sovranisti che già sono insorti ma che di fatto lascerà chi arriva e chi parte, nella stessa identica solitudine.