L’Inps ha sottoscritto un protocollo con la Caritas diocesiana che prevede l’apertura di sportelli per la gestione delle domande di assistenza in tutti i circa 8mila comuni italiani. Dovendosi occupare dei bonus bebè, degli assegni per gli asili nido, degli assegni familiari, delle domande per il reddito di cittadinanza e altro la Caritas avrà accesso alla enorme banca dati dell’Inps. Laddove l’organismo pastorale della Conferenza episcopale italiana per la promozione della carità non ha locali idonei per gestire le domande di assistenza da inoltrare telematicamente all’Inps, questi saranno messi a disposizione direttamente dai Comuni interessati i quali si accolleranno le spese delle utenze e della manutenzione. L’accordo è stato siglato da Pasquale Tridico, presidente dell’Inps, e Antonio Decaro, presidente dell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani), con don Marco Pagniello, responsabile delle politiche sociali della Caritas. Esso prevede, si legge sul sito della Caritas, «la realizzazione di attività di orientamento specificamente rivolte a coloro che si trovano in condizioni di disagio socio-economico che potrebbero non essere a conoscenza né essere adeguatamente informati sulle prestazioni socio-assistenziali e previdenziali erogate dall’Inps a cui avrebbero diritto». A informarli ci penserà, appunto, non lo Stato di cui queste persone indigenti sono cittadini, ma un’associazione privata religiosa che fa capo alla Chiesa attraverso i suoi Caf e patronati.
La notizia che avete appena letto sembra decisamente fare il paio con la recente nomina di un arcivescovo, mons. Paglia, a capo della Commissione ministeriale per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana, stabilita dal ministro della Salute, Roberto Speranza.
Di questa cosa sui media italiani qualcosa si è detto, e conoscerete la nostra chiave di lettura nelle pagine che seguono; dell’ingresso della Conferenza episcopale in 8mila sportelli Inps invece no. Eppure come è facile intuire è un progetto che ci riguarda tutti molto da vicino. Insomma dal punto di vista giornalistico la notizia ci sta tutta e sarebbe degna, a nostro avviso, di un’attenzione di gran lunga superiore a quella riservata, per dire, a quel cardinale che stando a quanto si legge si sarebbe messo a fare affari in proprio con i soldi dell’Obolo di San Pietro abusando della fiducia del papa. In realtà sarebbe più corretto usare il verbo al passato prossimo. Già perché l’accordo Inps-Caritas di cui abbiamo appena parlato è stato siglato l’11 dicembre 2019 ed è dunque già in vigore da quasi un anno. All’epoca nessuno ne parlò, se non in termini di notizia da 10 righe riportata acriticamente, tanto meno nessun giornale approfondì (tranne Left, e quindi desideriamo tranquillizzare qualche nostro lettore che avrà avuto un déjà vu). In ballo ci sono soldi pubblici italiani e non privati di uno Stato estero come nel caso dell’Obolo ma niente: la questione è stata deliberatamente lasciata sprofondare nel dimenticatoio. Come se fosse normale che parte del nostro welfare venga subappaltato, a spese nostre è bene ribadirlo, ad “ambasciatori” di un Paese straniero.
È questo uno dei numerosissimi casi in cui la stampa italiana in presenza di notizie che riguardano la Chiesa ha adottato e adotta una sistematica, imbarazzante autocensura. Per quale motivo, ci si chiede. Sudditanza psicologica? Scarsa cultura laica? Clericalismo? Non abbiamo qui una risposta, forse valgono tutte, ma portiamo un altro esempio: la lettera Samaritanus bonus emanata dalla Congregazione della dottrina per la fede (un tempo l’Inquisizione) e approvata da papa Francesco, nella quale senza tanti giri di parole il capo della Santa Sede ha cercato ancora una volta di condizionare con tesi ideologiche e antiscientifiche «le coscienze dei legislatori» e il dibattito pubblico e laico su eutanasia, suicidio assistito e interruzione volontaria di gravidanza. Anche qui, tranne poche voci critiche, la nostra stampa ha lasciato correre tutto in cavalleria. Di nuovo, come se fosse normale che uno Stato laico e democratico al momento di legiferare accetti le interferenze di una teocrazia religiosa. O meglio, come se non fossero passati 150 anni dal 20 settembre 1870 e dalla fine del potere temporale dei papi.
C’è il sospetto che al pontefice, in Italia, sia ancora riconosciuta, non si capisce bene per quale motivo e a quale titolo, il ruolo di guida etica oltre che spirituale nei cui confronti non è lecito esercitare il diritto di critica. E forse è per questo che c’è qualcosa di stonato, ai limiti del morboso nell’attenzione dedicata alle vicende del cardinale Becciu. Se le accuse nei suoi confronti saranno provate, non sarà il primo ecclesiastico e probabilmente non sarà l’ultimo a essere caduto… in tentazione (ci si passi la citazione) di fronte agli stramiliardi che la Chiesa incassa sotto forma di donazioni, oboli e “tasse” da tutto il mondo. In molti casi il risalto dato alla vicenda sembra strumentale all’esaltazione della figura di Bergoglio. È già accaduto più volte in presenza di casi di pedofilia quando a nove colonne si è rilanciato il grido di “tolleranza zero” nei confronti del pontefice argentino. Nel caso di Becciu la sostanza è la stessa: “Il papa ordina il pugno di ferro” abbiamo letto in giro. Ma quando mai? E soprattutto, cosa significa in ottica religiosa “tolleranza zero” o “pugno di ferro”? Data l’apertura di credito incondizionata di cui gode Francesco I in Italia anche da parte di ambienti politici e del mondo dell’informazione tendenti a sinistra o quanto meno non dichiaratamente conservatori, raramente domande del genere trovano risposta sui media. Ne consegue, quotidianamente, una esaltazione del personaggio Bergoglio che non tiene conto dell’inapplicabilità di una visione laica, che parta cioè dal rispetto dei diritti inalienabili della persona, a un’organizzazione come quella della Chiesa cattolica che per sua natura e cultura si oppone a questi stessi princìpi. Ci si chiede infatti come si può dimenticare che il pontefice sia eletto da una ristretta casta di soli uomini e che riassume in sé il potere legislativo, esecutivo e giudiziario come un qualsiasi dittatore o un monarca del ’700 (questo significa tra l’altro che pur non potendo controllare tutto ciò che accade nel mondo ecclesiastico è il papa e non altri a scegliere i suoi collaboratori più stretti, come monsignor Becciu ad esempio).
La pretesa che ogni ecclesiastico ha, dal pontefice in giù fino all’ultimo dei sacerdoti, di mostrarsi come guida morale della società si scontra con questo, oltre che con una storia non sempre edificante della religione che rappresentano. Una storia millenaria di intolleranze verso le altre religioni e di inaudite violenze psicofisiche soprattutto contro le donne e i bambini. Ma a politici e media italiani basta un annuncio per annullare tutto.
Il punto è che “tolleranza zero” o “pugno di ferro” si intendono contro il peccato e non contro il peccatore. Nessun giornalista considera mai che le fragilità di un ecclesiastico anche quando sfociano in un comportamento criminale, per la Chiesa sono pur sempre peccati, e dai peccati Dio salva. Quindi verso i peccatori vanno usati misericordia e perdono, perché «chi tra voi è senza peccato scagli la prima pietra». Questa doppia morale…
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