«Garantire ai migranti i fondamentali diritti umani della Costituzione». Una battaglia che Helena Janeczek, premio Strega 2018, considera primaria. E quanto all’impegno degli scrittori, dice: «Nella letteratura italiana l’attenzione ai temi civili e sociali è più presente rispetto a qualche anno fa»

Scrittrice di rara coerenza tematica e sguardo internazionale, con i suoi libri Helena Janeczek, figlia di genitori polacchi di origini ebraiche, nata a Monaco di Baviera ma da molti anni residente in Italia a Gallarate, attinge alla memoria storica, a una narrazione memoriale e a personaggi o storie di eventi lontani che però parlano al presente, come per esempio ne Le rondini di Montecassino, ma anche in Lezioni di tenebra, dove attraverso la vicenda biografica di sua madre rivive il dramma della deportazione. Ha ricostruito con abilità e passione anche la vicenda umana e politica di Gerda Taro, fotografa di guerra e compagna di Robert Capa, in La ragazza con la Leica (Guanda), romanzo con il quale ha vinto il Premio Strega 2018. Un personaggio che vive la sua passione per il reportage e la testimonianza, la sete di realtà che è anche quella di molti giovani di oggi rispetto ai drammi dell’immigrazione e della povertà, dei conflitti bellici, quindi una nuova forma di cittadinanza attiva nel mondo globalizzato.

Hai affermato una volta «Di italiano ho: un figlio, un passaporto, un codice fiscale». Quale è stato e quale è oggi il tuo rapporto con il nostro Paese, e come vivi questa appartenenza plurima con culture, luoghi, lingue?
Al festival “La grande invasione” ho presentato l’ultimo libro di Tishani Doshi, narratrice e poetessa indiana che scrive in inglese e, soprattutto, ha una madre gallese. Durante il nostro incontro, Doshi ha detto che questo libro – la cui protagonista torna dagli Usa nella sua città nativa, Madras, per stabilirsi in una zona rurale del Tamil Nadu – rispondeva al bisogno di mettere in luce come le appartenenze plurime, esaltate come ricchezza nel suo primo romanzo, avessero anche un risvolto doloroso e problematico: l’essere percepiti e sentirsi ovunque degli outsider. Mi ha colpito molto perché negli ultimi anni e in modo apparentemente paradossale, visto che nel 2018 mi è capitato di vincere il Premio Strega, ho vissuto qualcosa di analogo. Proprio quell’estate vennero bloccate l’Aquarius e la Diciotti, proclamata la “politica dei porti chiusi”, preparati i cosiddetti decreti sicurezza. La questione identitaria è diventata politicamente e culturalmente centrale nel mondo intero. Dove l’identitarismo è declinato dalla destra egemone, come in Italia, diventa impossibile non sentirsene toccati quando la propria storia è…

L’intervista prosegue su Left del 2-8 ottobre 2020

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