«Durante i terribili venti mesi di guerra hanno sperimentato la forza dell’unità e sono riusciti a stare insieme, pur venendo da mondi diversi. Serve questo per rendere un Paese libero e democratico». Parla Carla Nespolo, nuova presidente dell’Anpi

Insegnante di filosofia e storia, parlamentare del Partito comunista e da poche settimane presidente dell’Anpi, Carla Nespolo è la prima donna – non partigiana – a ricoprire questa carica succedendo a Carlo Smuraglia, ora presidente emerito. Ma si può dire che ha respirato il clima e la storia della Resistenza, visto che uno zio era partigiano e che viene dal Piemonte, dove la guerra di liberazione fu particolarmente accesa.

Carla Nespolo, lei che guida un’associazione nata da un movimento collettivo, che cosa pensa della Sinistra sempre a caccia di un leader?
Non mi sento di dare un giudizio sul mondo variegato e diviso della Sinistra. Noi dell’Anpi però preferiamo sempre usare il pronome “noi” piuttosto che il pronome “io”. Tutto questo viene dalla nostra storia, ed è qualcosa di utile anche per l’oggi. Durante i terribili venti mesi della lotta partigiana, in cui i partigiani sostenuti dalla popolazione civile hanno combattuto i nazifascisti, il tema era proprio quello dell’unità, del saper stare insieme. Comunisti, socialisti, liberali, cattolici, anarchici, tutti insieme. Con un obiettivo comune che è stato pienamente tradotto nella Costituzione.

Unità anche nello scrivere la Carta costituzionale.
In molti dopo il 1948 si sono sempre chiesti: ma come hanno fatto a scrivere una Carta così equilibrata, in cui i diritti individuali si compenetrano con quelli collettivi? E lo hanno fatto, ripeto, persone con punti di vista diversi, in soli dieci mesi. Questo è potuto accadere proprio perché avevano già fatto un’esperienza di lotta e di pensiero condiviso nella Resistenza. Questa è la nostra radice: unità su obiettivi comuni, cioè costruire uno Stato antifascista libero da tutte le imposizioni, le negazioni dei diritti e gli orrori a cui ci hanno condannato il fascismo e il nazismo. Questa Costituzione non a caso è stata difesa nel referendum del 4 dicembre 2016. I cittadini che sono andati a votare hanno scelto un’identità nazionale e collettiva.

Qual è la sua concezione della politica?
Nessun rifiuto della politica. La politica, intesa nel senso di polis è fondamentale, solo che va depurata di tutti questi leaderismi per tornare a una dimensione collettiva, nel rispetto di tutti i cittadini. Noi come Anpi siamo alternativi rispetto a una visione leaderistica, ma ci tengo a dirlo, lo siamo perché abbiamo anche sperimentato storicamente che è questo che serve a un Paese per renderlo più democratico e più libero.

Rispetto alle difficoltà del presente, con le destre che avanzano, perché la sinistra non riesce a trovare il senso per il collettivo?
Io vedo uno scollamento tra le domande sociali fondamentali e le risposte politiche che vengono date. La cosa da perseguire è sì anche un’unità politica, ma credo che l’unità tra movimenti e persone, nasca dalla costruzione e dalla individuazione di un progetto comune, dal punto di vista sociale, economico e poi anche politico. È una strada difficile, è vero, ci sono rigurgiti nazifascisti ma c’è un’Italia democratica molto forte. Lo abbiamo visto anche dalla reazione all’annuncio del ritorno della marcia su Roma. Noi siamo andati nelle scuole, nelle piazze, nei luoghi di lavoro. E un popolo antifascista c’è nel nostro Paese, bisogna saperlo ascoltare.

Forse è questo il problema: sapere ascoltare il Paese. Ci si rifugia nel leader che è la soluzione più facile?
Sì, le faccio un esempio, quest’anno è l’ottantesimo anniversario della morte di Gramsci. Ebbene, ciò che scrive lui nelle sue lettere, l’ottimismo della volontà, quella è la base per una buona politica. Naturalmente dobbiamo avere sempre il realismo – e Gramsci lo chiamava il pessimismo della ragione -; ma il nostro realismo ci dice che dobbiamo pretendere, da un lato, che la Costituzione venga applicata, dall’altro, che si combatta il razzismo perché è la base del fascismo. Ed è per questo motivo che il nostro assillo è parlare ai giovani, per raccontare la storia.

Quali sono i nemici dei partigiani oggi?
Il primo nemico è la non conoscenza. Quante ragazze sanno oggi che le loro bisnonne non potevano votare? Il voto, nel ’46, le donne se lo sono conquistate in montagna, facendo le staffette, con la dimensione del popolo che si ribella e quando ci si ribella, allora si può andare avanti. Conoscere per lottare. Noi chiediamo alla parte migliore della gioventù di non arrendersi. Perché le conquiste ci sono state. Io considero quella delle donne come una delle lotte più straordinarie e rivoluzionarie del secolo scorso. E adesso dobbiamo tornare indietro? Dobbiamo essere considerate solo per l’immagine esteriore anziché per il proprio pensiero, per i propri valori professionali? No. E infatti ci sono milioni di donne che stanno dalla parte giusta, dalla parte dell’affermazione di sé. E la liberazione delle donne è la liberazione di tutti.

L’Anpi può servire per ricostruire una cultura antifascista che negli anni si è persa?
Intanto va detto che il mondo delle sezioni Anpi e degli Istituti di resistenza ha fatto un grande lavoro per conservare la memoria. È vero, certe conquiste sembravano acquisite e non è stato così, ma per combattere il fascismo bisogna inverare i valori della democrazia, perché quando ci sono persone che vivono in povertà, le suggestioni sul fatto che il nemico non è il capitale ma quello più disgraziato di te che scappa dalla guerra, è facile che facciano presa. Ma, ripeto, tra i fascisti e gli antifascisti, questi sono molto, molto più forti. Si tenga sempre presente. E lo tenga presente la politica, quando a volte ammette che anche il fascista ha diritto di esprimere la propria opinione. No, il fascismo non è un’opinione, il fascismo è un crimine. Io comunque non penso alla punizione come soluzione, no, penso che la vera soluzione del problema è la conoscenza.

L’intervista di Donatella Coccoli a Carla Nespolo è tratta da Left del 18 novembre 2017


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Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.