Ormai lo sappiamo: le categorie che hanno subito i maggiori contraccolpi socioeconomici dovuti alla pandemia sono le donne e i giovani. Riguardo alla nuove generazioni, gli ultimi dati diffusi dall’Istat parlano chiaro: la disoccupazione giovanile (fascia d’età 15-24) è cresciuta ad agosto dello 0,3% rispetto a luglio, arrivando a toccare quota 32,1% (ben 2,5 % in più rispetto al dato pre-Covid di febbraio: 29,6 %). Oggi, praticamente, un giovane su tre né studia né lavora. La pandemia non ha solo provocato perdite di lavoro, ma ha anche complicato la ricerca di un’occupazione. C’è infatti una generazione di giovani obbligata a sospendere i propri piani di vita perché vede sbarrata la propria strada d’accesso all’impiego desiderato. Parliamo di alcuni lavori autonomi che hanno la partita Iva: psicologi, avvocati e giornalisti. E che incontrano diverse difficoltà: tirocini sospesi, prove d’esame che si sovrappongono, estrema precarietà. Gli aspiranti psicologi sono una delle categorie che vivono questi disagi. Per essere abilitati a esercitare la professione, bisogna seguire un tirocinio professionalizzante di un anno dopo la laurea magistrale; dopodiché, c’è da sostenere un esame di Stato. Coloro che facevano il tirocinio prima che scattasse il lockdown hanno dovuto fare i conti con i problemi organizzativi della loro università: «Alcune università hanno riconosciuto il diritto a svolgere il tirocinio da casa; altre invece no. Quindi se anche l’ente ospitante del tirocinio ti proponeva di fare il tirocinio in smart working, l’università non riconosceva il tirocinio» spiega Davide Pirrone, coordinatore nazionale del Movimento professione psicologo Italia. Di conseguenza, chi si è visto sospeso il tirocinio ora non potrà accedere all’esame di Stato che si terrà il 16 novembre; un esame modificato a causa della pandemia: non più 4 prove suddivise nell’arco di 3 mesi, ma una prova onnicomprensiva effettuata per via telematica.
Con il timore, per i circa 10.000 iscritti all’esame, che se la connessione a internet dovesse saltare, tutto potrebbe andare in fumo. Per chiedere chiarezza sulle modalità dell’esame, gli psicologi si sono ritrovati davanti al Miur a inizio ottobre. Secondo Pirrone il ministero non ha mantenuto le promesse: «Il ministro Manfredi aveva assicurato l’istituzione di un tavolo tecnico per riformare l’esame di Stato, rendendolo più semplice e più trasparente. Allo stesso tempo, già da metà agosto, il ministro si era impegnato a presentare un ddl per rendere la laurea in psicologia già abilitante. Ma finora sono state solo belle parole a cui non è seguita nessuna azione concreta». Le conseguenze del Covid si avvertono anche nell’ambito dell’avvocatura, sia per quelli che devono sostenere l’orale dell’esame di Stato che per quelli già abilitati. Infatti, i primi vivono la paradossale situazione per cui l’orale dell’esame 2019 potrebbe sovrapporsi alle date degli scritti dell’esame di quest’anno: a causa dei ritardi nella correzione delle prove scritte dell’esame dell’anno scorso, gli orali inizieranno il 12 ottobre e si estenderanno fino alla fine dell’anno, accavallandosi con i giorni degli scritti dell’esame 2020 (15, 16 e 17 dicembre). Questo obbligherà una buona parte delle 1.340 persone che sosterranno l’orale a iscriversi al nuovo esame di Stato entro l’11 novembre. Ciò comporterà un surplus di studio (dovranno studiare per due esami per non perdere la possibilità di rifare lo scritto, qualora l’orale andasse male) e il pagamento di altri 100 euro per iscriversi all’esame 2020.
Non se la passano tanto meglio i neo-avvocati, stando a quanto dice Nunzio, avvocato del lavoro da pochi mesi: «I neo-avvocati vivono una situazione di estrema precarietà. Molti lavorano in un regime di monocomittenza». A causa del forzato lockdown, si è innescato un effetto domino: il blocco delle udienze ha causato una contrazione del fatturato degli studi, che a sua volta si è riverberata sui neo-avvocati (soprattutto quelli che lavorano negli studi più piccoli), mandati a casa dall’oggi al domani. Infatti, gli avvocati che lavorano a libro paga di uno studio – nonostante di fatto abbiano un lavoro di tipo subordinato – non hanno un contratto di lavoro dipendente ma sono considerati liberi professionisti. Quindi non hanno tutele di nessun tipo. Per quanto riguarda invece la professione del giornalista, non tutte le redazioni hanno riaperto i battenti agli stagisti; così diversi ragazzi sono in attesa di capire dove faranno il tirocinio dopo aver terminato i corsi di formazione.
Ad esempio, Caterina (nome di fantasia) – che ha seguito il corso di giornalismo della scuola Basso terminato a luglio – è in attesa che la Rai o Fanpage sblocchino i tirocini e sottolinea con amarezza: «Non se ne parla prima di aprile». La maggior parte dei ragazzi del Master di giornalismo della Luiss sta invece facendo il tirocinio da casa; una modalità che sembra un po’ un pretesto per le redazioni per non sobbarcarsi la formazione degli stagisti in presenza. Invece, ragazzi che intraprendono una strada così impervia – e le loro storie lo dimostrano – al giorno d’oggi meriterebbero più rispetto e attenzione. E maggiori garanzie da parte delle istituzioni italiane, che dovrebbero semplificare questi percorsi formativi così come quelli degli psicologi e degli avvocati. È giusto che per ottenere un’abilitazione a una professione, ci si impieghi 6/7 anni, nel migliore dei casi?