Chissà se è tornata in azione la famigerata Armata bianca, il movimento integralista ecclesiale che alla fine degli anni Novanta scorrazzava per i cimiteri di mezza Italia con l’obiettivo di celebrare funerali e seppellire feti abortiti all’insaputa delle donne che avevano deciso di interrompere volontariamente la gravidanza come prevede la legge 194. È uno dei nodi che scioglierà l’inchiesta della procura di Roma che dal 2 ottobre è scattata sul caso del cimitero dei feti al Flaminio di cui nessuno ha mai chiesto la sepoltura. La storia è tristemente nota ed è venuta alla luce nella seconda metà di settembre quando una donna per caso ha scoperto una croce con il suo nome nel cimitero Flaminio di Roma dove qualcuno tumula feti abortiti senza il consenso delle persone interessate. Dopo la prima segnalazione che, dato l’abominio denunciato, dai canali social è arrivata velocemente nelle prime pagine di alcuni quotidiani (non molti a dire il vero) se ne sono aggiunte altre di donne che sono andate a controllare. A prendere in carico le loro istanze è stato l’ufficio legale dell’associazione Differenza donna che dopo aver visitato il sito con le croci e i nomi di donna ha deciso di promuovere una class action passando la palla ai pm di piazzale Clodio. Toccherà a loro individuare un profilo penale di quanto accaduto e gli eventuali responsabili dipanando la matassa degli stucchevoli rimpalli tra la Asl, l’Ama (che si occupa dei servizi cimiteriali per conto del Comune di Roma) e gli ospedali dove sono avvenute le interruzioni di gravidanza.
Secondo l’avvocato dell’associazione, Teresa Manente, tra i reati ipotizzati ci sono la violazione dei diritti fondamentali della donna e della legge 194. Di contro c’è chi minimizza parlando di zelo burocratico, ma resta ignoto chi è che avrebbe deciso la rigida applicazione del Regolamento di polizia mortuaria seppellendo il materiale organico senza il consenso delle donne. E c’è chi punta il dito contro un vuoto normativo nel quale si è insinuato chi ha deciso di indicare il nome delle donne sulle croci, cosa che per esempio non avviene nell’altro cimitero romano, il Laurentino. Su questo è intervenuto anche il Garante della privacy che ha aperto un’istruttoria per accertare eventuali violazioni. E questa pubblica gogna è certamente la violenza subita più odiosa e vigliacca, come ha raccontato su Facebook una delle donne “coinvolte” suo malgrado: «Per tre volte chiesi, dopo l’aborto, che fine avesse fatto il feto e per tre volte mi sentii rispondere “non sappiamo”… Vedere il mio nome su quella brutta croce gelida di ferro in quell’immenso prato brullo è stata un’altra profondissima pugnalata, un dolore infinito e una rabbia da diventar ciechi… Ora che conoscete i fatti, mi concedete di usare il termine tortura?». In attesa dei primi risultati dell’inchiesta si muove la politica.
La capogruppo della Lista Zingaretti in Consiglio regionale del Lazio, Marta Bonafoni, prima firmataria di una interrogazione consiliare sul caso, ha puntato il dito contro un «regolamento del 1990» evidentemente farraginoso e sulla «discrezionalità da eliminare, che ha portato alla situazione del cimitero Flaminio». Dopo di che il 5 ottobre ha presentato insieme ad Alessandro Capriccioli (capogruppo di +Europa Radicali) una proposta di legge regionale «per disciplinare in maniera inequivocabile le modalità di trasporto e sepoltura dei feti». È il riferimento al 1990 che fa venire in mente il movimento integralista cattolico dell’Armata bianca di cui si parlava all’inizio poiché proprio quell’anno iniziò a mettersi in mostra arrivando a inaugurare nel 1991 il primo monumento in Italia dedicato ai “Bimbi non nati” nel cimitero de L’Aquila con il benestare del Vaticano nella figura dell’arcivescovo Mario Peressin. L’iniziativa fu in seguito replicata a Iglesias e nel tempo il Movimento per la vita Armata bianca, che si rifà al rito cattolico preconciliare ed è stato fondato da padre Nicola D’Ascanio, è arrivato a contare qualche migliaio di adepti e a stipulare convenzioni con diversi cimiteri italiani per poter celebrare funerali di feti e seppellirli in aree dedicate al loro interno. Tra il 1999 e il 2000 il leader D’Ascanio insieme ad altri adepti è finito sotto inchiesta con l’accusa di aver violato la legge che consente la sepoltura dei feti solo in presenza di autorizzazione da parte della donna che ha abortito.
L’intesa raggiunta con alcune Asl del Piemonte e Abruzzo prevedeva che i feti abortiti fossero messi dal personale sanitario in contenitori, forniti dall’associazione, indicando la data dell’intervento. Nella sola Novara in circa due anni la “setta” tumulò circa duemila feti fino a quando quattro esponenti del Consiglio regionale (le tre Ds Silvana Bortolin, Giuliana Manica e Marisa Suino e la socialista Carla Spagnuolo) non riuscirono a far bloccare tutto. Le analogie con il “caso romano” si sprecano ma va detto che la rivolta piemontese contro questo abominio non impedì che anni dopo nascessero come funghi cimiteri per feti in diversi comuni amministrati anche dal centrosinistra (basti ricordare il caso di Firenze nel 2013 con l’allora sindaco Matteo Renzi che fresco di candidatura alla guida del Pd fece approvare e difese a spada tratta la delibera che autorizzava l’istituzione di uno spazio per la sepoltura dei feti). Armata bianca o no – il Movimento è peraltro caduto in disgrazia presso il Vaticano dopo la dimissione dallo stato clericale del suo fondatore per violazione del VI comandamento (l’accusa era di abusi su minore) – è indubbio che da tempo si sia inasprita l’offensiva della Chiesa cattolica contro la legge 194 e le donne che decidono di abortire. Offensiva che passa per la loro sistematica colpevolizzazione che trova l’apice nei frequenti interventi di papa Francesco sul tema. «La vita umana è inviolabile, no a diagnosi prenatale per abortire» ha detto nel 2019; l’aborto «è come affittare un sicario» disse nel 2018 e via così con le donne descritte come mandanti di un omicidio, come se il feto fosse persona e nella…
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