#EndPoliceBrutalityInNigeria. Campeggiava questa scritta sulla maglia di calcio di Victor Osimhen, giocatore del Napoli e della nazionale del suo Paese. Un gesto forte che è servito a far alzare lo sguardo anche in Italia su quello che sta avvenendo nel grande Stato subsahariano. Tanti i testimonial che si stanno alternando per chiedere al governo di Abuja e alle forze di polizia di rispettare i manifestanti. Da Beyoncè a Rihanna, un unico simbolo, la bandiera nigeriana macchiata di sangue da lanciare sui social e da diffondere ai fan. Ma il silenzio resta, troppi gli interessi commerciali fra alcuni Paesi europei, le compagnie petrolifere in primis e l’immenso Paese subsahariano, un repubblica federale in cui vivono ormai 200 milioni di persone, divise in 36 stati ma soprattutto in oltre 250 etnie, lingue e dialetti. Al punto che l’inglese (e l’esercito) sono stati i veri elementi unificanti.
Una nazione con infiniti problemi, attraversata da sempre da conflitti interni, dalle pressioni integraliste degli jahedisti di Boko haram, al movimento indipendentista in Biafra, alle devastazioni sul delta del Niger. Ma un Paese in via di modernizzazione velocissima. Ad Abuja, la capitale amministrativa, ci sono business man che considerano normale avere il jet privato, caffè italiani che vanno per la maggiore e lusso sfrenato ma riservato a pochi. Ma il resto della Nigeria è una contraddizione continua. Da Benin City continuano a partire, vittime della tratta, ragazze, spesso minorenni, destinate al mercato del “sesso” a pagamento in Europa. Lagos, la antica capitale, vera megalopoli è un centro pulsante di ogni tipo di affari.
E sembra proprio il centro economico del Paese ad essere il cuore della rivolta per studenti, oppositori politici, persone stanche della corruzione e della violenza di Stato. La protesta ha un obiettivo. Si chiede lo scioglimento della Sars (Special Anti Robbery Squad) con cui l’attuale presidente, un generale in pensione, al secondo mandato ed ex golpista Muhammadu Buhari, ha formalmente sciolto il corpo di polizia militarizzato l’11 ottobre scorso. I giovani chiedono riforme in tutti i settori del governo e combattono la corruzione ma soprattutto le autorità dei singoli Stati impongono, come accaduto nell’Edo State, il coprifuoco col pretesto di proteggere i cittadini onesti.
Il 20 ottobre, davanti a un’ondata di manifestazioni, il governo ha imposto un coprifuoco a Lagos perché migliaia di giovani hanno sfidato pacificamente le autorità. Da quanto si apprende da fonti della diaspora nigeriana, i militari hanno interrotto la corrente elettrica e sparato sulla gente.
Secondo Amnesty international sono state uccise almeno 38 persone, centinaia i feriti. La carneficina, ripresa con gli smartphone da numerosi manifestanti, ha fatto il giro del mondo. Nei video si mostrano manifestanti colpiti alle spalle. Erano disarmati ed è difficile identificare gli assassini. Il governo nega ogni addebito ma secondo i rivoltosi ad agire sono state unità speciali senza divisa. Dall’Onu, Antonio Guterres, Segretario generale, con un comunicato ha condannato le violenze della polizia, di fatto confermando le notizie diramate dai manifestanti. Anche il segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, in un comunicato rilasciato dal suo portavoce, condanna le violenze della polizia che si sono verificate ieri sera nella metropoli nigeriana. Dopo un coprifuoco di 24 ore imposto dal governatore del Lagos State, Babajide Olusola Sanwo-Olu, un migliaio di persone, per lo più giovani, hanno sfidato l’ordine impartito dalle autorità e sono scesi nelle strade per manifestare pacificamente.
Ci sono state ulteriori cariche, come hanno raccontato ad Africa ExPress, alcuni testimoni, in particolare nel quartiere di Lekki, nella periferia di Lagos e ancora ci sono stati morti e feriti.
Le cariche della polizia hanno investito manifestanti, in particolare a Lekki, un quartiere periferico di Lagos, lasciando una scia di dolore sul terreno. Africa ExPress ha ricevuto numerosi video e foto dai suoi stringer che confermano ciò che si è verificato nella serata di ieri. Gli organizzatori della protesta hanno fatto sapere: “I rapporti degli ospedali e testimoni oculari confermano la brutalità della polizia nei confronti di almeno mille manifestanti, che hanno sfilato pacificamente per chiedere una buona governance e di mettere la parola fine alle violenze delle forze dell’ordine”.
Le proteste proseguono e si estendono di giorno in giorno anche in altri Stati, alcuni edifici sono stati incendiati. Ci sono stati blocchi stradali e anche ad Abuja si sono verificati scontri al punto che molti leader tradizionali sono stati evacuati dalla polizia e le loro case sembrano essere state saccheggiate.
Dal Paese che ha dato i natali al nobel Wole Soyinka, che ha la terza industria cinematografica del mondo, al punto che la si chiama “Nollywood”, giungono sempre più segnali di disperazione che i Paesi ricchi sembrano poco propensi a cogliere. In Europa sono molte le aggregazioni della diaspora nigeriana in esilio. «Anche in Italia siamo tanti – racconta James, da tanti anni in Toscana – ma siamo divisi e non riusciamo ad organizzarci per far sentire la nostra voce».
L’Italia ha da anni un accordo di riammissione con la Nigeria. È stato e viene applicato per rimpatriare soprattutto uomini accusati – a torto o a ragione – di far parte di una organizzazione mafiosa potente che si è radicata in Europa e che controlla i racket di droga e prostituzione, ma troppo spesso, anche a causa di funzionari zelanti che quando vedevano come paese di provenienza la parola “Nigeria”, sono state espulsi richiedenti asilo, oppositori politici, ragazze che erano destinate alla tratta.
Ma l’importante è non disturbare i buoni rapporti di affari con il gigante africano, cosa importa se anche lì in mezzo alla ricchezza, riemerge la brutalità da regime. Meglio la criminalizzazione di un popolo multiforme che fare i conti con anni e anni di corruzione che hanno devastato non solo l’ambiente – il delta del Niger è una delle aree più inquinate del pianeta -, non solo le relazioni fra popoli che lentamente si riconoscono in un unico Paese, non solo distrutto culturalmente le prospettive riducendo tutto a mercato.
Il danno arrecato è peggiore, si sta togliendo giorno dopo giorno, ogni speranza di cambiamento. I giovani che manifestano sono una speranza enorme di invertire la rotta. Hanno scelto di lottare e non di imbarcarsi in viaggi senza speranza. Non lasciamoli soli.