Quello degli spazi sociali sotto minaccia di sgombero, purtroppo, non è un tema nuovo. Ciclicamente si torna a parlare di una qualche istituzione, soprattutto nelle grandi città, che non dialoga con le realtà associative presenti sul territorio, non ne riconosce il valore e il lavoro svolto e richiede indietro gli spazi – anche legalmente concessi ai diversi attivisti – per svolgere le stesse funzioni che già questi portano avanti da tempo. Usando parole come rigenerazione o riqualificazione. Un po’ quello che sta succedendo a Roma e Milano, con risposte diverse da parte delle realtà coinvolte.
Partendo dalla Capitale, la (triste) attualità è rappresentata da Scup, spazio autogestito nel quadrante est della città, vicino alla stazione Tuscolana, dopo Termini e Tiburtina una delle più importanti di Roma. Gli attivisti, presenti dal 2015 in alcuni stabili in disuso di proprietà di Rfi e concessi loro in comodato d’uso gratuito, oltre ad aver risistemato luoghi a dir poco fatiscenti, hanno creato nel tempo un vero e proprio incubatore di attività e di buone pratiche. A Scup hanno trovato casa una palestra popolare, un mercato, una biblioteca ma soprattutto tanti soggetti, da Libera ad associazioni che lavorano con i disabili, che non avevano uno spazio fisico per incontrarsi. Ci sono poi i corsi di teatro e le tante attività culturali portate avanti in una zona dove prima di Scup «non c’era niente, non un teatro, non uno spazio per i giovani», racconta Marco, uno degli attivisti.
A marzo 2021 però l’esperienza di Scup potrebbe finire a causa del…
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