La detenzione cautelare, senza processo, spesso senza accuse ufficiali e senza limiti di tempo, alla quale è sottoposto in Egitto lo studente dell’università di Bologna è diventata una strategia repressiva strutturale da parte di Israele nei Territori occupati palestinesi nei confronti dei cittadini palestinesi

C’è una forma di prigionia più ingiusta di altre, quella politica. E tra queste c’è una modalità di privazione della libertà più straziante di altre: quella senza fine apparente. È la detenzione cautelare, senza processo, spesso senza accuse ufficiali, senza limiti di tempo. Rinnovata di 15, 30, 45 giorni o di tre, sei, dodici mesi, senza soluzione di continuità fino a far diventare un tempo che per sua natura dovrebbe essere determinato in una prigionia indeterminata. Non conoscere la data di fine pena significa vivere senza certezza di libertà.
In Medio Oriente la detenzione cautelare è comune, ci sono governi che la utilizzano come strategia di piegamento della volontà, dentro e fuori le carceri: due di questi sono alleati europei, Israele ed Egitto. Così possiamo legare le prigionie, apparentemente lontane per contesto e storie personali, di Maher e Patrick.

Maher al-Akhras ha 49 anni, è palestinese. Nel luglio scorso è stato arrestato dall’esercito israeliano e posto in detenzione amministrativa (questo il nome della custodia cautelare nell’ordinamento israeliano) fino al 26 novembre in prima istanza, con possibilità di rinnovo. Non conosce i motivi dell’arresto (sembra sia accusato di appartenere alla Jihad islamica, ma non sono state presentate prove), la detenzione amministrativa non lo prevede: al tribunale militare basta visionare un file segreto dei servizi dove si spiegherebbe perché una persona è considerata una potenziale minaccia per autorizzare la detenzione di sei mesi, rinnovabile senza limiti.

Dal 27 luglio Maher al-Akhras rifiuta di mangiare. Ha deciso di usare il suo corpo come migliaia di prigionieri politici palestinesi prima di lui, come primordiale strumento di protesta: lo sciopero della fame. Una violenza che ci si auto-infligge per protestare, per togliere all’autorità il monopolio della violenza e ottenere ascolto: Maher chiede che si revochi subito la detenzione amministrativa, richiesta finora negata per ben due volte dall’Alta corte israeliana. O meglio, gli è stata presentata un’offerta: torna a mangiare e lo Stato si impegna a non rinnovare l’ordine di detenzione amministrativa dopo il 26 novembre. A meno che, si aggiunge, non si trovino altre prove segrete. Maher ha detto di no: vuole uscire subito, visto che non è accusato di nulla. E vuole che Israele, dopo 43 anni di incessante utilizzo della misura cautelare contro i palestinesi dei Territori occupati, non la utilizzi più.
Maher al-Akhras non mangia da oltre 90 giorni, è ricoverato in…

L’articolo prosegue su Left del 23-29 ottobre 2020

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